Dopo la confessione di Moussa Sangare, il 31enne di origine maliana (ma cittadino italiano, nato in Italia) che nella notte tra il 29 e il 30 luglio ha accoltellato a morte Sharon Verzeni, parla la sorella Awa. In un’intervista rilasciata al Corriere della sera la ragazza di 24 anni, studentessa di Ingegneria a Bergamo, si è sfogata rilasciando una serie di inquietanti dichiarazioni sulla vita del fratello, che puntano il dito anche verso le istituzioni, che avrebbero potuto prevenire la tragedia: “Ho denunciato mio fratello ben tre volte, nel 2023 e l’ultima volta a maggio. Danneggiamenti, violenza domestica, maltrattamenti. Eravamo in pericolo. Nessuno si è mosso. Sia io sia il mio avvocato abbiamo scritto al sindaco, agli assistenti sociali. Volevamo aiutarlo a liberarsi dalla dipendenza. Ci abbiamo provato: hanno detto che doveva essere lui a presentarsi volontariamente” aggiungendo anche: “Ho avuto paura di morire anche io. Mio fratello ha tentato di uccidermi. Quello che ha fatto a Sharon poteva succedere a me. Ne sono convinta”.
Le dichiarazioni di Awa sul fratello Moussa Sangare aggiungono un altro tassello al delicato caso, evidenziando la responsabilità delle istituzioni, che forse, se fossero intervenute tempestivamente, avrebbero potuto evitare la morte di Sharon. Awa aggiunge: “Io e mia madre Kadiatou abbiamo fatto di tutto per aiutarlo. Non volevamo credere a quello che ha confessato. Con mamma siamo scoppiate in lacrime. Forse però se ci avessero ascoltate Sharon sarebbe ancora viva. Il nostro pensiero va a lei e alla sua famiglia” in un messaggio che appare disperato, raccontando che il fratello era violento da tempo, almeno dal 2019 quando era tornato dagli Stati Uniti dove “aveva fatto uso di droghe sintetiche e non era più lui”, fino alla costante richieste di soldi, l’incendio doloso in cucina nella casa di famiglia, le minacce – “mi ha minacciato con parole pesanti. Mi ha detto “Ti ammazzo”, mi ha gettato oggetti addosso. Abbiamo chiesto aiuto ai servizi sociali e al sindaco. Siamo state lasciate sole” – fino a quanto lo scorso maggio, solo due mesi prima dell’omicidio di Sharon Verzeni, Sangare aveva anche puntato un coltello addosso alla sorella Awa, prendendola di spalle, in una dinamica che ricorda in maniera sinistra proprio l’aggressione verso Sharon. Avevano sospetti che fosse lui il colpevole? Viene chiesto poi ad Awa, che risponde: “No, la bici era sotto il telo. Non abbiamo visto nulla. Moussa viveva di notte, di giorno dormiva. Non lavorava, era disoccupato. Era sparito e non abbiamo più saputo nulla. Poi abbiamo scoperto che aveva occupato la casa al piano terra”.