Nel cuore della notte, a Bergamo, i Carabinieri hanno eseguito un fermo nei confronti di Moussa Sangare, un trentunenne italiano di origini marocchine, accusato dell’omicidio di Sharon Verzeni, la giovane barista di trentatré anni brutalmente uccisa a Terno d’Isola tra il 29 e il 30 luglio (finora gli inquirenti sembravano credere che il findanzato, Sergio Ruocco, sapesse più di quello che aveva detto e, nonostante la confessione, ci sono diversi punti da chiarire). L’atto si è consumato senza un apparente motivo: quattro coltellate, un'aggressione che non trova giustificazione in furti, rapine, droghe o aggressioni sessuali. Il fermo, emesso dal pm Emanuele Marchisio, è arrivato a un mese esatto dal delitto, e segna una svolta in un caso che ha lasciato un’intera comunità sgomenta. Il killer è reo confesso: «Ho ucciso perché quella sera volevo uccidere qualcuno». Un’affermazione che lascia emergere un vuoto spaventoso, l’assenza totale di un movente razionale, e che riporta drammaticamente alla mente la "teoria del pazzo": quella figura imprevedibile e senza schemi, capace di agire con una violenza cieca e senza motivo. Le immagini delle telecamere di sorveglianza sono state decisive per l’identificazione di Sangare: un uomo in bicicletta che si allontana velocemente dalla scena del crimine in via Castegnate, un dettaglio che ha permesso agli investigatori di ricostruire il suo percorso e di stringere il cerchio attorno al sospettato. Ma anche con l’arresto e la confessione del colpevole, resta l’inquietudine di fronte a un delitto così inspiegabile. Nel mondo del crimine, pochi fenomeni suscitano inquietudine come l’agire di un assassino che uccide per il puro gusto di farlo. Questo tipo di assassino sfida ogni schema tradizionale, rendendo difficile per investigatori e profiler prevedere le sue mosse o comprenderne le motivazioni.
L’assenza di un movente razionale rende ogni tentativo di categorizzazione inefficace: non c’è vendetta, gelosia o guadagno, solo un perverso piacere nel togliere la vita. È qui che entra in gioco quella che possiamo definire come una versione criminologica della "teoria del pazzo". La "teoria del pazzo" in politica e strategia militare si basa sull’essere così imprevedibili da instillare paura e incertezza nei propri avversari. Quando applicata a un assassino fuori dal comune, questa teoria descrive un criminale che agisce al di fuori di qualsiasi logica prevedibile, sfidando non solo le forze dell'ordine ma anche il senso comune di sicurezza e ordine. Un assassino che si diverte a uccidere introduce un livello di casualità che non solo rende impossibile la prevenzione, ma crea anche un’angoscia costante nella comunità. La paura non deriva solo dal pericolo fisico, ma anche dal sapere che non esiste un modo chiaro per proteggersi o prevedere dove colpirà la prossima volta. Gli investigatori si sono trovati a inseguire un’ombra capace di mutare forma e sfuggire a ogni tentativo di identificazione. Il delitto di Sharon è un esempio estremo di come l’irrazionalità e l’imprevedibilità possano diventare armi potenti nelle mani di un criminale, portando a un senso di impotenza tanto nelle forze dell'ordine quanto nella società. E proprio come la "teoria del pazzo" suggerisce, la vera forza di un tale assassino sta nella sua capacità di rimanere un passo avanti, spingendo i suoi cacciatori a brancolare nel buio. In un mondo dove la scienza investigativa ha fatto passi da gigante nel risolvere crimini complessi, l’imprevedibilità di un assassino che uccide per il piacere sfida l’idea che ogni crimine possa essere compreso e risolto. La battaglia non è solo contro un individuo, ma contro il caos stesso, contro l’incubo di non poter anticipare né fermare una mente che agisce senza schemi, senza limiti e senza pietà.