Sofia Stefani era una giovane donna che aveva coronato il proprio sogno di trovare un lavoro come vigilessa, ma quel sogno purtroppo si era infranto contro un licenziamento che aveva peggiorato la sua condizione di fragilità, un aspetto di cui oggi parlano i suoi genitori a margine del processo che vede imputato per il suo omicidio l’ex comandante della polizia Giampiero Gualandi, 63 anni. Di anni Sofia ne aveva solo 33 quando è rimasta uccisa, colpita allo zigomo da un proiettile sparato dalla pistola di ordinanza di Gualandi mentre i due si trovavano nell’ufficio di lui presso il comando della polizia locale di Anzola Emilia (Bologna) quel tragico 16 maggio 2024 e i colleghi di lui, all’epoca dei fatti, si dichiararono all’oscuro della relazione sentimentale che intercorreva tra loro. Ieri si è tenuta la seconda udienza del processo contro Gualandi, che ha sempre sostenuto si sia trattato di un incidente e che il colpo sia partito per errore durante una colluttazione, ma è stato smentito dalle consulenze tecniche che, come ha ricordato la pm Lucia Russo, hanno dimostrato che sull’arma non ci fosse alcuna traccia biologica e nessuna impronta dattiloscopica della vittima ma solo dell’imputato. La vera novità emersa dall’ ultima udienza è che la Stefani e Gualandi avevano firmato un “contratto di sottomissione sessuale” in cui lei era definita “agente-schiava sottomessa” al volere di lui descritto come “comandante-padrone, colui che tutto può sulla sua schiava” e che si impegna a “dominare l’anima della sua sottomessa divorandola a suo piacimento”.

Al di là delle considerazioni di carattere morale ed etico, che non ci riguardano perchè le pratiche sessuali fra persone adulte sono un affare che attiene solo e soltanto alla sfera personale di ognuno di noi, non possiamo trascurare un aspetto importante che è stato sottolineato anche dall’avvocato Andrea Speranzoni, legale della famiglia della vittima: fino a che punto Sofia aveva liberamente acconsentito a questo genere di trattamento? Si trattava solo di un gioco erotico fra due soggetti consenzienti, di un “contratto” scaricabile dai siti internet Bdsm (Bondage e Disciplina, Dominazione e Sottomissione, Sadismo e Masochismo) tanto di moda dopo la pubblicazione del libro Cinquanta sfumature di grigio e dell’omonimo e celeberrimo film? Oppure occorre tenere conto del fatto che Sofia stesse attraversando un periodo di fragilità emotiva e fosse facilmente manipolabile da parte di un soggetto che la stessa Procura non esita a definire prigioniero di un castello di menzogne da lui stesso costruito? Secondo la procuratrice aggiunta Gualandi aveva intrappolato la vittima in una relazione fortemente squilibrata per la vulnerabilità della giovane donna e non si faceva alcun problema a mentire raccontando alla moglie di essere perseguitato da Sofia che non voleva cessare una frequentazione a cui lui aveva messo la parola fine. Menzogne su menzogne tipiche di un soggetto che, come è stato evidenziato dall’analisi sui telefoni cellulari suoi e della vittima, mandava messaggi di natura affettiva e sessuale a Sofia a conferma del fatto che la relazione non fosse affatto cessata e negli stessi minuti scriveva alla moglie lamentandosi della giovane che, a suo dire, lo tormentava di continuo.

Alla luce di questi elementi, l’ex capo della polizia attualmente accusato dell’omicidio della sua amante, potrebbe rientrare nel profilo di un narcisista patologico che ha manipolato psicologicamente la propria vittima approfittando di uno stato di sudditanza dovuto alla propria posizione dominante e controllante sia in ambito professionale che personale. Come riferisce la pm, la relazione era caratterizzata da una ciclica alternanza di momenti di quiete e di tensione ed è probabile che il tragico epilogo sia stato l’ultimo step di una forma di abuso perpetrata nel tempo. Una versione confermata dalla madre di Sofia che in aula ha dovuto assistere alla proiezione di un video in cui appariva il cadavere della figlia e che, dopo la conclusione dell’udienza, tra le lacrime ha esortato i giudici a riconsiderare l’ipotesi del femminicidio perché Sofia è caduta vittima di chi ha abusato della propria posizione dominante in quanto superiore dal punto di vista lavorativo e abile manipolatore dal punto di vista psicologico. Ora è tutto nelle mani della Corte che dovrà stabilire se quel contratto di sottomissione sessuale è irrilevante come sostiene la difesa di Gualandi oppure è un chiaro segno degli abusi e della volontà di manipolare la vittima e quindi può costituire un elemento di non poco conto nel determinare i capi di imputazione.
