Di base sono contro l’aborto.
Mi piacciono i bambini, e quando ero minorenne e cominciavo a fare teatro a Napoli, lavorai con una performer, la chiamerò A.
A. la ricordo come una donna libera un’artista, all’epoca aveva 70 anni e una volta mi parlò di un aborto fatto in giovane età, quando parlava dei suoi figli ogni tanto menzionava “l’altro figlio” quanti anni avrebbe avuto allora e cosa avrebbe fatto… eppure l’aborto era intenzionale, le cause non le ricordo, erano forse pochi soldi o tanta gioventù, o forse solo l’uomo sbagliato…
Io ero giovanissima non avevo mai considerato questa decisione nella vita e capii o almeno immaginai che l’aborto era qualcosa che profondamente segnava le donne. Nel corso del tempo ho sentito amiche e conoscenti che mi hanno parlato dell’operazione per abortire, del raschiamento, della difficile decisione e del difficile momento, donne di 18 anni o 40 anni… mi sono sempre chiesta quanto e se facesse male questa decisione, e ho sempre pensato che non avrei voluto trovarmi in questa situazione.
Inoltre quando vedo le immagini tenerissime dei neonati mi sciolgo e se penso che poteva non esserci quell’esserino, mi dispiace…
Si, però troppo facile così.
E infatti come sempre sono piena di sfumature, non ho un lavoro preciso, la mia categoria ha confini labili e i miei punti di vista soggetti a molteplici pensieri direzionali. Di base sono contro l’aborto, ma di base, soprattutto, nulla della vita mi è estraneo, accolgo esperienze, ascolto emozioni, osservo felicemente il mondo in chiave antropologica, e forse sarebbe stato più giusto dire così: sono Paola, ho 31 anni, non faccio uso di anticoncezionali sicuri (badate bene, usate il preservativo quando non conoscete il partner sessuale), non ho figli e non ho mai abortito, fortunatamente non mi sono dovuta imbattere in questa decisione.
Ecco così suona meglio, questa è la mia storia, e sarebbe potuta essere un’altra storia, e sarei comunque sempre stata io. Mi considero una femminista contemporanea, eppure per molte donne forse sono l’Anticristo delle femministe. Dipende cosa si intende per femminismo, non avrò posizioni nette (le posizioni nette spesso sono acchiappalike, volte a racimolare consensi di nicchia e poi convertirli…) semplicistiche e manichee per essere categorizzata in “giusta o sbagliata”, non sarò mai spartana nello schierarmi a favore o contro qualcosa, valuterò la parte cognitiva ed emozionale delle situazioni, e traccerò una linea e tirerò le somme: il risultato sarà una sintesi analitica ma più o meno giusta per alcune porzioni di persone che avranno background differenti.
Rispetto alla decisione contro l’aborto negli Stati Uniti dunque valuterò un punto che forse non è stato sviscerato abbastanza, al netto del fatto che legalmente è un passo indietro e mi sembra assurdo che un diritto ottenuto possa essere rimesso in discussione, cioè è come se domani le donne di nuovo non potessero più votare… legalmente e cognitivamente è senza senso!
Ma ciò che mi perplime maggiormente è l’idea latente di dover governare la libertà emotiva delle donne. Io vedo sopratutto questo dietro l’abolizione del diritto all’aborto. Mi spiego: abortire è una cosa brutta, fa male alle donne, è una brutta esperienza, e a me sembra che si voglia controllare la libertà emotiva della donna anche di non dover sentire dolore, una tutela dittatoriale che mi sa più di controllo sul femminino che di Corte suprema e diritti costituzionali.
Che la donna faccia paura è vero già almeno dall’epoca dei Greci, le più importanti tragedie raccontano il femminino come la forza suprema più devastante e creativa al tempo stesso, capace di dare vita e far morire, di sconquassare, una forza che il mondo teme, un potere che se usato bene è divinatorio, visionario, ma anche vendicativo. Io stessa sono Elena di Troia, e sono una Erinni, posso essere furiosa, una furia che nella mia vita hanno sempre voluto controllare, sopratutto i maschi, gli amanti, le famiglie dei miei amanti… perché è più comodo tenere a bada lo sconquassame emozionifero femminino, è facile così, gli altri vivono meglio senza dover fronteggiare la libertà emotiva femminile.
È questo il punto di questa retromarcia, non la legge, ma la legge morale, non quella di Stato, quella della natura è violata. La legge umana di permettere a sé stesse di vivere un’emozione, positiva o negativa che sia.
Nessuna moralità imposta è necessaria, lascia che sia io a decidere che condotta morale applicare alla mia vita, lascia che sia io a pagare le conseguenze emotive (positive o negative) delle mie scelte, lascia che sia io!
Non c’è moralità nell’impedire alla donna di abortire, quello è un fottuto diritto e quel diritto non ci rende immuni dalla tristezza, o dal dolore, è un cazzo di diritto, stop, non è che se ho il diritto di abortire e lo esercito sono esonerata di default dallo stare male!
Lasciateci libere di stare male: è una frase che rende bene l’idea, ma è assurda e anacronistica!
Non entrate dove non dovete/potete entrare, non siate invadenti, non entrate dove solo noi possiamo entrare, nella nostra parte emozionale, non potete entrarci, lo Stato non può entrare, serve un diritto, e poi a ogni singola donna la scelta di cosa fare, la scelta di cambiare idea all’ultimo, esiste comunque il libero arbitrio che ogni essere umano può esercitare. Però quando si parla di aborto ci deve essere sempre chi mette bocca, troppa bocca, da parte di chi ha solo tanta bocca, poche palle, e nessun utero soprattutto!
Non capisco perché c’è sempre stata così tanta moralità su questo tema, perciò mi sa di tentativi moderni di dominio sulla sfera emozionale delle donne, perché l’apertura e la consapevolezza completa da parte delle donne, di quella parte così profonda e intima ancora oggi fanno paura. Allora controllarla ristabilisce un po’ gli equilibri del mondo.
Non sarò la classica femminista che dice il corpo è mio e faccio quello che voglio, stiamo oltre credo, spero, rivendico un diritto più ancestrale di un corpo, il diritto alla libertà di non dover gestire l’invadenza dello Stato, delle istituzioni, delle persone su come mi sento e quanto sto male, se sto male, o se sto bene anche se ho fatto la stessa cosa che a un’altra donna invece fa star male! Sono caxxi nostri. Voglio che sia ben chiaro l’intento ultimo di non dover/voler più giustificarsi di come ci sente, e la sentenza americana a mio avviso attenta a questo. È un attentato contro il permettersi di vivere un’emozione intima, brutta e negativa che sia.
Lasciate le donne abortire e lasciatele libere di non sentire dolore, di sentirlo dopo, di essere devastate, di crescere da quel dolore o di essere felici per aver abortito. Non provate a controllare i corpi delle donne e non provate a controllare l’emotività delle donne, né con le leggi né con gli atteggiamenti.
Il problema è sempre quello, la libertà!
La libertà (delle donne) vi fa male, lo so!