Nel giorno della presentazione, a Roma, del libro “Gauche Caviar – Come salvare il socialismo con l’ironia” scritto a quattro mani da Fulvio Abbate e Bobo Craxi, abbiamo avuto l’occasione di discutere a lungo con Paolo Mieli. Giornalista, nonché noto opinionista politico e conduttore di vari programmi storici targati Rai, partendo dal racconto e dalle ripercussioni di Mani Pulite nel nostro paese, ci ha sapientemente delineato la discussa relazione che da trent'anni intercorre tra magistratura e politica, auspicando a riguardo un'opportuna presa di coscienza da parte della magistratura. In merito alla guerra in Ucraina, ha individuato in Putin la figura che sarà in grado di trarre vantaggio dalla durata prolungata del conflitto. Conclude con la speranza che siano gli Stati Uniti a eguagliarci in materia di liberalizzazione delle armi, e non viceversa.
Si sente di far parte della cosiddetta “gauche caviar”?
No, non sento di farne parte.
Il libro di Fulvio Abbate e Bobo Craxi è un vero e proprio manifesto per far rinascere, o almeno riavere una identità al socialismo. Secondo lei perché ha perso così tanta reputazione?
Non credo che il socialismo abbia perso la sua reputazione.
In caso contrario sarebbe tutta colpa di Mani Pulite?
Mani Pulite più passa il tempo e più si colloca come un episodio della storia del Partito Socialista italiano, ma da allora sono passati trent'anni, e la reputazione dei socialisti e del socialismo è in ripresa. Oggi più nessuno collega il socialismo a Mani Pulite e alle disavventure giudiziarie.
Se Mani Pulite non fosse mai esistita, secondo lei avremmo un’Italia migliore o no?
Se Mani Pulite non fosse mai esistita la storia del Partito Socialista Italiano l’inciampo lo avrebbe avuto ugualmente: si era esaurita la storia della Prima Repubblica, e infatti anche gli altri partiti sono scomparsi, oppure hanno cambiato nome. Quindi più o meno la storia sarebbe andata allo stesso modo.
A cadenza fissa tornano gli attacchi politici alla magistratura. È un brutto vizio tutto italiano?
Dal 1992 magistratura e politica hanno avuto i nervi tesi reciprocamente. Questo perché, in sostanza, la magistratura è uscita fuori dai suoi binari, dandosi dei compiti che non ha. E in questo senso i partiti di volta in volta ci hanno messo del loro, offrendo alla magistratura nuovi pretesti per andare oltre le righe. Nell’approdo ideale di questa nostra storia d’Italia, la magistratura dovrebbe riprendere il suo ruolo, per cui puntare sulla forza politica dev'essere l’eccezione, e non la regola che puntualmente si ripete. Dopo trent'anni una presa di consapevolezza da parte della magistratura sarebbe opportuna.
Matteo Renzi ha appena pubblicato un libro, “Il mostro”, nel quale si difende punto per punto dalle accuse che gli sono state rivolte. C’è del vero in quello che scrive?
Si, c’è del vero, ma la colpa dei politici è di accorgersi di queste cose solo quando arrivano addosso a loro. La storia cambierà quando un libro come quello di Renzi sarà scritto per dei guai giudiziari capitati a un altro, possibilmente a un nemico, e non a sé stessi o a un compagno di cordata, perché altrimenti la denuncia ne uscirebbe depotenziata.
Berlusconi con i suoi costanti scontri con la magistratura è stato il politico che più ha contribuito a far calare la fiducia nella giustizia?
Vale sempre lo stesso discorso. Ci sarà scalpore se una persona combatterà, fino in fondo, una guerra quando questa non toccherà in primis sé stessa. Diversamente non sarebbe efficace.
Siamo a pochi giorni dai referendum sulla giustizia (si vota il 12 giugno). Quali punti la convincono e quali invece no?
Tutti i punti del referendum sulla giustizia, che considero nel loro insieme, mi convincono.
Nell’ambito della delegittimazione della magistratura è spuntato fuori anche Danilo Coppola, l’immobiliarista che era finito nelle varie inchieste dei “Furbetti del quartierino”. Dice che è stata tutta una montatura dei “poteri forti”. Ha qualche ragione?
Non credo. Quando sento parlare di “poteri forti” chiedo sempre di fare nome e cognome di di qualche persona, altrimenti anch’io potrei dire che i poteri forti mi hanno danneggiato.
Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro e simbolo antimafia, ha tuonato contro il governo Draghi dicendo che siamo al “liberi tutti” nella lotta alle mafie. È una denuncia che la trova d’accordo?
No, penso che il governo Draghi abbia il compito principale di mettere in pratica il PNRR (il Piano nazionale per gli investimenti con i fondi europei, ndr). Non è distratto dalla lotta alla criminalità, ma ha un compito da seguire, e per la quale è stato chiamato vista la sua esperienza sull'economia internazionale.
Sempre Gratteri è stato bocciato più volte nei concorsi per ricoprire diversi posti pubblici, da ultimo come Procuratore nazionale antimafia. Ha detto che senza far parte delle “correnti” della magistratura si trova svantaggiato. Non le sembra viva la stessa condizione di Giovanni Falcone?
Bisognerebbe essere dentro le questioni della magistratura per capirlo. Mentre su Giovanni Falcone è stata fatta una campagna ad personam molto vivace, su Gratteri non mi sembra sia lo stesso. Per un certo periodo Giovanni Falcone sembrò essere un nemico di tutti i magistrati di estrema sinistra. Gratteri no.
Ancora in tema di giustizia, crede che il processo a Vadim, il soldato russo condannato all’ergastolo in Ucraina, si sia svolto con tutte le garanzie per l’imputato?
No, sono contrario ai processi durante le guerre. Le prove vanno raccolte anche durante i conflitti, ma i processi vanno fatti dopo, garantendo soprattutto i diritti della difesa. Più i diritti della difesa sono garantiti e più i processi sono efficaci.
A chi conviene che continui il più a lungo possibile questa guerra tra Russia e Ucraina? A Putin, a Biden o a noi europei?
A Putin. Lui l’ha scatenata e, se dura a lungo, alla fine conta sul fatto che soprattutto l’Europa si stufi di aiutare gli ucraini, quindi è a Putin che conviene la lunghezza del conflitto.
Qualche tempo fa Salvini spingeva per dare più armi agli italiani per difendersi da soli. Avremmo rischiato di diventare come l’America?
Penso proprio di no. Magari saranno gli Stati Uniti a darsi leggi più simili a quelle che abbiamo noi in Italia, e non darci noi leggi che liberalizzino le armi come sono di fatto liberalizzate in America.