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Perché Andrea Bossi
doveva morire? E la pista
della spedizione punitiva
sembra la più accreditata

  • di Anna Vagli Anna Vagli

1 febbraio 2024

Perché Andrea Bossi doveva morire? E la pista della spedizione punitiva sembra la più accreditata
Andrea Bossi con ogni probabilità conosceva chi l’ha ucciso. Non solo perché gli ha aperto la porta come dimostra la mancanza di segni di effrazione, ma anche perché non ha avuto il tempo di difendersi. E non lo ha avuto perché non si sentiva in pericolo quando ha fatto entrare il suo assassino, che lo ha aggredito con il solo scopo di ucciderlo. Ecco l'analisi della criminologa

di Anna Vagli Anna Vagli

Il delitto di Andrea Bossi resta un giallo. Eppure, a perdere la vita nella notte tra venerdì e sabato scorso è stato un giovane di 26 anni come tanti. Il corpo esanime è stato rinvenuto nella sua residenza a Cairate, provincia di Varese, in via Mascheroni. Secondo i primi parziali dell’autopsia, la vittima è stata uccisa da una ferita da arma da taglio al collo, una pugnalata inferta con violenza e penetrata in profondità. Un colpo letale inferto in un week end apparentemente come tanti. Attualmente, per gli investigatori tutti gli scenari restano aperti e i parenti del giovane hanno scelto di mantenere un riserbo totale. Io ho un’idea diversa e più precisa. E vi spiego subito il perché. Salvatore Ottolenghi, fondatore della scuola italiana di Polizia Scientifica, paragonava la scena del crimine ad un ritratto parlato. Ed è proprio così. La scena del crimine comunica. 

Andrea Bossi
Andrea Bossi

La criminodinamica, che analizza la scena di un crimine e le modalità con le quali è avvenuto un crimine, suggerisce a mio modo di vedere che potrebbe essersi trattato di una spedizione punitiva nei confronti proprio del padrone di casa Andrea Bossi. Chi gli ha suonato il campanello voleva ucciderlo. Infatti lo ha colpito con un fendente dritto alla gola. Ma c’è di più. Dal punto di vista comportamentale, proprio l’aver colpito alla gola ha un preciso significato. Un significato che va oltre la sola volontà di uccidere e rafforza la pista della spedizione punitiva: esprime rabbia e controllo. Per quel che attiene invece la sparizione di monili preziosi dall’abitazione, invece, potrebbe essere un’attività di depistaggio. Sicuramente un’attività, quella di sottrazione successiva al delitto, ma non certo causa scatenante. Al massimo, un maldestro tentativo di simulare una rapina e quindi non un aspetto direttamente collegato al regolamento di conti tra i due. Un regolamento che potrebbe avere qualsiasi natura, anche passionale. Ma quello che non è indubbio è che a prescindere dalla ragione Andrea doveva pagare con la vita.

La casa del delitto di Andrea Bossi
La casa del delitto di Andrea Bossi

Secondo alcune fonti, inoltre, sarebbe emerso che fuori l’abitazione ci sarebbero delle macchie di sangue. Sicuramente da gocciolamento. Ciò significa che l’assassino potrebbe essersi ferito. Del resto, rispetto ad un’aggressione di quel tipo era preventivabile. Tirando le fila, Andrea conosceva il suo assassino non solamente perché gli ha aperto la porta mancando evidenti segni di effrazione ma perché l’autopsia non ha mostrato sul suo corpo segni di difesa. Dunque, Andrea non si sentiva in alcun modo in pericolo quando ha fatto entrare il suo assassino. In un crimine di questo tipo sarà dirimente per le indagini l’autopsia psicologica per scoprire chi fossero le persone che negli ultimi mesi hanno gravitato nella vita del giovane. In particolar modo, una simile tecnica forense potrebbe veicolare le indagini in una direzione ben precisa. Difficile credere infatti che l’assassino non abbia lasciato alcuna traccia di sé nell’abitazione. Come sappiamo, mancando una banca dati del Dna per chi non ha precedenti penali, circoscrivere la cerchia dei sospettati potrebbe essere fondamentale anche per trovare un profilo genetico da comparare.

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