C’era chi pensava che il 14 giugno 2025 sarebbe passato alla storia degli Stati Uniti come il giorno della grande contestazione. NO KINGS – Nessun Re! Un’iniziativa di matrice liberal, replicata in diverse città americane, organizzata per protestare contro quello che viene definito “l’autoritarismo” dell’attuale amministrazione. In poche parole, l’ennesima manifestazione anti-Trump. Mobilitazione massiccia, sostegno sfacciato da parte dei media schierati: sembra di essere tornati ai tempi in cui Madonna, con indosso il pussy-hat, urlava di voler bruciare la Casa Bianca. La storia si ripete. Prima lo accusavano di essere un predatore sessuale, oggi lo hanno addirittura promosso a monarca: ora Trump è “colpevole” di sentirsi un Re. Quello che però pochi raccontano – o, più spesso, deliberatamente ignorano – è che secondo fonti investigative indipendenti, l’evento NO KINGS è stato ampiamente finanziato da gruppi legati all’ala più radicale del Partito Democratico, con contributi opachi provenienti da ONG e organizzazioni già note per aver sostenuto sommosse urbane, atti di disobbedienza civile e retorica anti-americana. Esistono sigle, dati, cifre: parliamo di fondi federali finiti nelle casse di professionisti del disordine. Non è molto diverso da quanto sta accadendo a Los Angeles, dove – secondo alcune inchieste – manifestanti vengono pagati tra i 300 e i 500 dollari per “presenziare”. Il Primo Emendamento della Costituzione americana garantisce il diritto alla libera espressione e alla protesta pacifica. Ma paragonare Donald Trump a un sovrano assolutista è una forzatura propagandistica che nemmeno gli stessi promotori sembrano prendere sul serio. È il messaggio spettacolare che conta, non il contenuto. La teatralità prima della verità.

Ciò che però consola, oggi più che mai, è che dopo anni di campagne di delegittimazione, l’America ha imparato a riconoscere le manipolazioni ideologiche dietro certi tentativi di sabotaggio simbolico. La narrazione anti- Trump – dalle fake news alle indagini costruite a tavolino – ha lasciato cicatrici, sì, ma ha anche vaccinato milioni di cittadini contro l’inganno. Non è più un mistero che gran parte delle tensioni sociali, delle rivolte urbane e del boicottaggio sistematico delle istituzioni siano il risultato di una precisa regia politica. Una macchina ben oliata, alimentata da un’ideologia progressista sempre più in crisi di consensi e sempre più disposta a tutto pur di fermare Trump: persino a sostenere il caos. Il 14 giugno 2025, invece, passerà alla storia come un giorno di straordinaria unità nazionale. Per la prima volta una maestosa parata militare ha attraversato il cuore della capitale, segnando con imponenza i 250 anni dell’Esercito americano. Un evento senza precedenti, che ha trasformato Washington in un palcoscenico di orgoglio nazionale. La parata, imponente e solenne, ha visto sfilare tutte le divisioni storiche dell’esercito, dai reggimenti meccanizzati della 1ª Divisione di Fanteria fino alle unità aviotrasportate dell’82ª Airborne. In prima linea, accompagnati da bande militari in grande uniforme, hanno marciato con passo deciso i veterani di tutte le guerre, da quelli della Seconda Guerra Mondiale fino agli eroi delle missioni in Iraq e Afghanistan. Dietro di loro, i cadetti delle accademie militari, il volto giovane di un’America che non smette di credere nei valori di libertà, sacrificio e dedizione. Lungo Constitution Avenue, centinaia di migliaia di persone hanno applaudito commosse, stringendo al petto le bandiere, a stelle e strisce, al passaggio delle Gold Star Families, i familiari dei caduti in servizio, che hanno ricevuto una standing ovation degna del loro coraggio silenzioso. Il Presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump, ha assistito alla cerimonia dalla tribuna d’onore, insieme alla First Lady, alle eccellenze delle accademie militari e ai vertici delle forze armate. Nel suo discorso, ha ricordato: “Oggi celebriamo non solo il nostro esercito, ma l’anima stessa della nostra nazione. Il nostro esercito è nato prima ancora della nascita formale dell’America. È stato il primo baluardo della nostra libertà, il primo custode dei nostri ideali. Nessun nemico ci ha mai piegati, perché uomini e donne in uniforme si sono sempre alzati in difesa della libertà”. È stata una giornata che ha restituito agli americani il significato più profondo della parola onore: ogni passo scandito, ogni uniforme indossata, ogni medaglia appuntata sul petto ha raccontato la storia di un Paese costruito sul sacrificio di chi ha scelto di servire. E a dispetto delle provocazioni, è stata l’America autentica a parlare: quella dei lavoratori, dei padri e delle madri che mandano con orgoglio i figli alle accademie militari, dei veterani che sventolano la bandiera con le lacrime agli occhi, dei giovani che guardano ai soldati come a eroi moderni. Oggi si celebrava il Flag Day, la Giornata della Bandiera americana — una ricorrenza profondamente sentita dai patrioti di tutto il Paese. Per una curiosa coincidenza, ricorreva anche il compleanno del Presidente Donald J. Trump. Un dettaglio che ha subito acceso le polemiche da parte di alcuni detrattori, che, con superficialità e malizia, hanno insinuato che la grande parata militare fosse stata organizzata per celebrare se stesso. Ma la verità è ben diversa: la giornata è stata dedicata interamente all’onore dell’Esercito degli Stati Uniti e ai valori fondanti della nazione, in uno dei momenti di unità nazionale più solenni e significativi degli ultimi decenni.
