Luca de Meo lascia Renault e si infila nei salotti buoni del lusso con il colosso Kering. Un salto da stuntman, con il rischio di spezzarsi l’osso del collo, non da manager prudente. Dopo anni passati a vendere utilitarie e crossover come fossero gioielli, ora dovrà far brillare marchi veri come Gucci e Yves Saint Laurent, che da mesi sono panne come una vecchia Clio sgarrupata. La notizia è stata una sorpresa: il rinnovo in Renault era fresco di firma, con tanto di un nuovo piano strategico che stava per essere svelato. E invece de Meo ha mollato tutto per accettare il ricco invito di François-Henri Pinault. E pensare che fino a una manciata di giorni fa l’enfant prodige dell’auto (discepolo di Marchionne, eroe della 500, salvatore della Seat) predicava la necessità di salvare l’industria europea dell’auto dalle grinfie delle norme dell’Unione europea e della concorrenza asiatica. Ma Kering ha bisogno di uno specialista in salvataggi come lui: Gucci, che pesa per metà del fatturato, è un paziente in terapia intensiva; Balenciaga non sa più che identità darsi dopo i recenti scivoloni; la Borsa ha rifilato un -43 per cento al titolo in dodici mesi. E così Pinault, per salvare la baracca, si affida a chi è bravo a raccontare storie più che a far girare i motori.

Perché il vero talento di de Meo non è la tecnica, ma il marketing travestito da strategia industriale. Il curriculum è noto: il ragazzo prodigio della Fiat che fu di Marchionne, capace di trasformare una city car in un fenomeno pop e di far digerire la Musa e la Ypsilon con Carla Bruni e Fiorello; il rivoluzionario di Seat, dove ha sfornato Suv a raffica e inventato Cupra, il marchio sportivo che sembrava una meteora e invece macina utili. Ma è anche l’uomo che ha rilanciato i bilanci Renault più a colpi di storytelling che di novità concrete. Ora la sfida è tutta un’altra: il lusso non si vende con le parole, e convincere i buyer a tornare a sognare Gucci sarà più difficile che rifilare una city car elettrica ai sindaci europei. De Meo, con la solita faccia da golden boy e il sorriso da poster pubblicitario, ci proverà. Ma stavolta, se sbaglia una collezione o un messaggio, non ci sarà un piano B. Perché nel lusso l’abito fa il monaco, e senza miracoli veri i flop si pagano cari. Un manager da passerella o un passaggio a vuoto? Lo scopriremo presto.
