Alle 18 in punto, con la puntualità di una bomba sartoriale, Balenciaga annuncia il nuovo direttore creativo: Pierpaolo Piccioli. Sì, proprio lui. Il poeta dark dell’alta moda, quello che Valentino ha scaricato con la delicatezza di un ghosting su WhatsApp dopo 24 anni di eleganza barocca e battaglie estetiche. Ora è lui il volto nuovo della casa di Kering, il ritorno del Re, l’unico che riesce a far piangere la gente guardando un vestito. Nel 2024, la maison Valentino decise di salutarlo con l’entusiasmo di chi deve svuotare il frigo prima delle ferie: “Grazie e addio”. Al suo posto, il nuovo Messia: Alessandro Michele, ex Gucci, ex genio, ex tante cose. Ma l’effetto boom non c’è stato. Troppa attesa, troppa nostalgia, troppa Gucci 2.0 per un marchio che aveva fatto dell’identità Piccioliana un culto. E la verità è che non puoi mettere i Queen a suonare cover dei Pink Floyd e aspettarti che funzioni.

Piccioli, nel frattempo, sembrava sparito. Tipo quelle rockstar che mollano tutto per la pace interiore, mentre tutti si chiedono “che fine ha fatto quello là?”. E invece era lì, probabilmente a leggere Pasolini e disegnare abiti che sembrano aforismi visivi. Ora torna, e lo fa a casa Balenciaga. Non un marchio qualunque, ma il più postmoderno, il più spigoloso, il più meme-izzato di tutti. Quello che passa con disinvoltura da Kim Kardashian ai monaci tibetani, dagli scandali ai red carpet. È la scelta perfetta e anche il più grande plot twist della moda recente. Perché Piccioli non è solo un couturier: è uno che sa parlare alle pance, ai cuori e agli occhi della gente. Un Max Pezzali della moda, capace di raccontarti l’amore, la rabbia e la malinconia con un solo colore. E adesso, mentre Michele cerca ancora la sua nuova rivoluzione e Valentino si riposiziona con l’ansia da prestazione del secondo appuntamento, Piccioli rientra nel gioco dalla porta principale. Sguardo basso, matita in mano, pronto a ribaltare le regole ancora una volta. Bentornato, Pierpaolo.
