Sono tempi di cambi di rotta ai vertici, nel settore della carta stampata. Dopo il Riformista e Domani, anche l’Avvenire ha un nuovo direttore: è Marco Girardo, che prende il posto di Marco Tarquinio, al timone dal 2009. Ma a differenza degli altri due casi – la scalata ostile di Renzi con i collaterali licenziamenti all’Unità, il ribaltone improvviso imposto da patron De Benedetti – quanto sta accadendo all’interno del quotidiano di riferimento della Conferenza episcopale italiana farebbe parte dell’ordinario evolversi degli eventi. L’addio di Tarquinio è stato infatti consensuale, era nell’aria e cede semplicemente il testimone a chi negli ultimi 12 anni era a capo della redazione economica del giornale. Insomma, un’operazione interna condivisa fra le parti. Ma perché Tarquinio ha deciso di lasciare proprio ora? Per capirlo è necessario ripercorrere il curriculum dell’intellettuale: cattolico politicamente impegnato, già consulente del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali (2011-2016), sin dal giorno uno dell’invasione russa dell’Ucraina si era contraddistinto per le sue posizioni fortemente critiche all’invio di armi al governo di Kyiv. Lanciandosi in affermazioni quanto meno azzardate: “Basterebbe il 10 per cento delle risorse utilizzate nella corsa agli armamenti per far cessare la fame nel mondo”, diceva lo scorso gennaio. E infatti, in questi mesi, lo storico direttore dell’Avvenire ha trovato facili sponde nello spurio universo della “terza via” – né con Putin, né con Zelensky. Ha marciato da Perugia ad Assisi, sua città natale, insieme alla Comunità di Sant’Egidio. È intervenuto a “Pace proibita”, una serata di protesta organizzata la scorsa estate da Michele Santoro. Ha difeso a spada tratta le controverse comparsate televisive di Alessandro Orsini sulla guerra. Basta unire i puntini per intravederne il salto di qualità politico.
Secondo Affari italiani, Tarquinio vanta rapporti di lunga data con il M5S, cementati ancora di più dalla presidenza Conte. E la prossima mossa sarebbe proprio la discesa in campo tra le file del Movimento, in vista delle prossime elezioni europee. Le tempistiche non sarebbero casuali. È vero che la linea del Vaticano sulla questione russa-ucraina è quella del dialogo e della diplomazia. Ma è altrettanto vero che il governo Meloni ha innescato una serie di riposizionamenti all’interno del Vicariato romano, in direzione delle nuove forze di maggioranza e a discapito di quegli enti di cattolicesimo sociale come appunto la Comunità di Sant’Egidio. Tanto più, sottolinea la stessa testata, che Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, starebbe facendo leva sulla nuova premier per orientare una fetta importante delle risorse del Pnrr verso le casse della Caritas. È evidente, a questo punto, che dirigere il quotidiano simbolo della Cei e allo stesso tempo aprirsi al M5S non era una strada conciliabile. Anche considerata la netta linea interventista e atlantista del governo Meloni nei confronti di Kyiv. Optare per la mossa del cavallo, un passo a lato per farne due in avanti, è invece la soluzione naturale sia per Tarquinio sia per l’ala conservatrice dell’Avvenire. Quasi non ci si accorge che è appena finita la direzione più longeva, tra quelle attualmente in attività, dei principali quotidiani italiani.