Testimonianze di ex spacciatori, racconti di relazioni poligame e poliamorose, interviste fatte in carcere su tematiche importanti per la società, festival di musica semi sconosciuti, Vice è stato l’apripista di una comunicazione nuova (e online) fatta dai giovani per i giovani. Purtroppo, però, dopo il boom iniziale a metà degli anni Novanta, Vice sarebbe già da qualche anno alla ricerca di nuovi investitori per evitare la bancarotta, impresa che fino ad oggi, secondo Il Post, non ha avuto successo. C’è chi sospetta che il crollo della rivista sia dovuto alla forte concorrenza, chi sostiene che Vice faticherebbe a stare al passo con i nuovi media e chi, più in generale, punta il dito su presunti investimenti “troppo vasti” sempre in campo digital. Tra le teorie più affidabili c’è la testimonianza dell’ex direttore di Vice News Italia Valerio Bassan rilasciata per SkyTg24, secondo cui a dare la mazzata alla società canadese sarebbe stato senza ombra di dubbio l’avvento delle piattaforme social. É curioso pensare che un magazine come Vice, che ha fatto dell’online il proprio marchio di fabbrica, fatichi a restare al passo con i cambiamenti delle piattaforme. Eppure anche per un altro sito web d’informazione, BuzzFeed, il mondo social ha determinato la chiusura della sua divisione “News”.
Dove risiedano effettivamente tutte le motivazioni di questo presunto fallimento è ancora un mistero, quello che resta è un forte sconforto da parte di chi aveva trovato in Vice un punto di riferimento in materia di documentazione e comunicazione. Seria, affidabile e senza peli sulla lingua. L’arrivo di Vice a Milano nel lontano 2006 aveva portato con sé un’ondata di freschezza nel mondo del giornalismo italiano, veicolando dei contenuti di grande qualità che pian piano da una nicchia di lettori sono arrivati alla visibilità di un grande pubblico. Se il magazine chiude è un problema, non solo per i suoi accaniti lettori ma sopratutto per una società che già leggeva poco e che oggi si troverà a leggere poche cose e fatte pure male. Perché diciamocelo, in Italia il giornalismo si divide fra quello di cronaca e quello dei paparazzi, in cui il più delle volte è il secondo ad avere la meglio. Certo di blog, influencer e magazine che sono stati (volenti o nolenti) addottrinati dalla “mamma Vice” ce ne sono, ma la chiusura della rivista canadese segnerebbe inesorabilmente la fine di un’era, quella di un giornalismo interessato alle cose che spesso stanno ai margini, accattivante e pure tremendamente estetico.
Se è vero come diceva Chambers che “siamo quello che leggiamo”, allora forse siamo un po’ vuoti, perché se preferiamo essere sempre aggiornati sui possibili intrallazzi fra gli attori di Mare Fuori e non ce ne frega niente di leggere testimonianze di persone vere che stanno dietro ad un carcere, c’è un problema di fondo. La grandezza di Vice consiste nel far porre delle domande, nella capacità di informare i lettori su storie poco conosciute o su fatti di cronaca e di politica scritti semplicemente in maniera diversa, curata e autentica. Non ci resta che sperare che tutto il lavoro fatto in questi anni non vada sprecato e che arrivi un buon samaritano a salvare Vice oramai sull’orlo del precipizio.