Nella guerra intestina alla maggioranza di centrodestra su tanti fronti, lo scontro tra Fratelli d’Italia e la Lega è in questi giorni particolarmente acceso sul controllo della Rai. Il risiko prevede la giubilatio per l’attuale amministratore delegato, Carlo Fuortes, che la premier Giorgia Meloni vorrebbe trasferire al teatro San Carlo di Napoli (mossa che implica approvare una norma, di fatto, ad personam per pensionare l’attuale sovrintendente, Stephan Lissner) così da nominare un sostituto di traghettamento, Roberto Sergio direttore di Rai Radio, e alla direzione generale il vero uomo su cui punta il partito-guida, Giampaolo Rossi, che a sua volta prenderebbe il posto di Sergio fra un anno. Una partita a scacchi che nel frattempo potrebbe vedere intanto avanzare le posizioni di FdI su poltrone meno difficili da occupare ma di ancor più immediato impatto sulla linea quotidiana della tv di Stato. Come quella del direttore del Tg1, il telegiornale della “rete ammiraglia”, che da Monica Maggioni, caduta politicamente in disgrazia, potrebbe passare a Gian Marco Chiocci. Anzi, per l’esattezza dovrebbe passare, perché la Meloni ha ormai segnato il suo nome per quella casella, che alla Lega piaccia oppure no.
Gian Marco Chiocci dal novembre 2018 è il direttore dell’agenzia di stampa Adnkronos, la seconda dopo l’Ansa. Figlio d’arte (suo pare, Franco Baldo, era un inviato di guerra quando gli inviati erano indispensabili, nell’era pre-Internet), gavetta da giovanissimo in giornali toscani, sboccia professionalmente alla fine degli anni ‘80 come cronista di giudiziaria al Tempo. Una penna, come si dice, d’assalto, sempre a caccia di scoop. E di scoop, infatti, nella sua carriera ne ha messi a segno parecchi: dall’inchiesta “Affittopoli” sulle case di enti affittate a prezzi stracciati a lorsignori (Massimo D’Alema dovrà lasciare la sua, tanto per dire), all’altrettanto celebre inchiesta del 2010 sull’appartamento di An a Montecarlo in cui finì impantanato Gianfranco Fini, alla contro-inchiesta sulle escort berlusconiane o a quella su Telekom Serbia, quest’ultime due in affiatata coppia con Massimo Malpica. Dopo un breve passaggio a L’Informazione, nel 1994 è la volta del Giornale diretto da Vittorio Feltri, dove, per il suo lavoro, si guadagna i galloni di giornalista più perquisito e intercettato d’Italia, anche perché spesso, nel suo ambito d’interesse, in quel periodo e nei successivi, intersecò i servizi segreti, dagli articoli sul Niger-gate al caso Abu Omar. Quasi dieci anni dopo, l’editore del Tempo, Domenico Bonifaci, lo assume alla direzione dell’esanime quotidiano di destra, che Chiocci rianima con una linea battagliera, satira inclusa (le vignette di Osho).
Ai tempi scapigliati del Giornale, come ricordava il Foglio in un ritratto di una decina d’anni fa, “Gianma” si faceva notare, sotto il profilo umano, per un aspetto “da parà”, giubbotto alla Top Gun e pantaloni simil-militari, e per una certa “vena cazzona”: “andava al bar e risaliva con la bottiglia di vino e le tartine per l’aperitivo, appena prima della chiusura-pezzi”. Poi, la frequentazione, sia pur non ossessiva, di qualche salotto romano, ma sempre sfoderando una gaudente ironia: per i suoi 50 anni, nel 2014, la festa ebbe luogo in un teatro, con la colonna sonora di Raffaella Carrà e Bob Sinclair “A far l’amore comincia tu”, in perfetto stile Jep Gambardella in “La Grande Bellezza”. Garantista perfino sui poliziotti del G8 di Genova, finisce accusato per favoreggiamento, e poi prosciolto perché “il fatto non sussiste”, nel caso giudiziario di Mafia Capitale: aveva incontrato il capo della coop 29 giugno, Salvatore Buzzi, con cui intratteneva un rapporto cronista-fonte (al contrario di quanto scriveva Roberto Saviano, che gridò subito al “clan”, mentre in realtà, per fare un esempio, grazie al contatto con Buzzi venne realizzata un’intervista a Piero Pelosi, condannato per l’uccisione di Pier Paolo Pasolini e allora nell’organico della coop sotto processo). Di idee senz’altro di destra, anche se mai militante, Chiocci andrebbe a garantire un indirizzo più o meno militarmente allineato al nuovo corso a Palazzo Chigi. Chissà, però, quanto ancora giornalisticamente “guerrigliero”, da trincea. Da parà dell’informazione.