In Italia si sta parlando di un presunto kit per suicidi, venduto da un ex ingegnere aerospaziale e chef canadese, Kenneth Law. Sarebbero 9 gli acquirenti, ma lui garantisce di averne venduti a centinaia soltanto in Gran Bretagna.
Abbiamo anche una prima vittima, una 63enne che viveva in provincia di Trento che avrebbe lasciato scritto questo: «Mi dispiace. Sono troppo malata, troppo dolore, non avevo altra scelta, addio».
Law ha detto di essere partito con questo business due anni fa, dopo aver assistito alle incredibili sofferenze della madre malata. Aveva aperto vari siti web, ora chiusi. Le questure stanno indagando per scoprire chi siano gli altri 8 italiani in possesso del kit per il suicidio.
I problemi di ordine morale che si pongono sono semplici. Cosa ci dà il diritto di impedire una transazione volontaria? Con quale potere agiamo affinché una persona non possa decidere di mettere fine alla propria - soltanto la propria - vita.
A fine 2022 Amazon venne accusato di aver venduto un kit per il suicidio con tanto di istruzioni per l’uso e suggerimento di acquisto di una bilancia per dosare adeguatamente il nitrino di sodio sufficiente da sciogliere in acqua.
L’aggravante sarebbe proprio quel suggerimento, come se si stesse incitando il suicidio e non semplicemente fornendo un servizio razionalmente orientatoad offrire al consumatore un prodotto tendenzialmente venduto anche insieme alla sostanza chimica.
L’errore dei più (e anche dei giornali che hanno ritratto Kenneth Law al pari di un assassino) è di valutare la bontà o meno del suicidio in sé, passando così dal ragionare su temi morali al ragionare come dei moralisti.
Le azioni individuali dovrebbero essere giudicate semplicemente in base al principio di non aggressione. Se non aggredisco nessuno, non vedo perché dovrei essere coartato e limitato nelle mie capacità di azioni.
Uno degli argomenti a sostegno della repressione del suicidio è che spesso le persone siano soggetti fragili. Dunque, sarebbe giusto impedirgli di acquistare i mezzi per uccidersi.
Oltre a essere una vera e propria intromissione in uno scambio libero tra due privati i cui benefici si estendono a tutta la società, l’estremo paternalismo (o paternalismo estremista?) di questo argomento potrebbe estendersi a molte altre cose comunemente accettate.
Una persona fragile, infatti, può decidere di iniziare a bere fino a diventare alcolizzata. Ma l’alcool non è vietato. Il fatto che l’alcool non abbia come unica destinazione l’alcolismo renderebbe meno immorale la vendita di quest’ultimo rispetto al nitrito di sodio?
Va bene se mi uccido utilizzando in modo improprio un prodotto non destinato al suicidio piuttosto che attraverso dosi e prodotti specifici? Per molti è così. Anche molti Stati lo credono quando vietano l’eutanasia e il suicidio assistito lasciando che le persone optino per strade più dolorose e pericolose.
Se il ragionamento alla base dell’opposizione alla vendita di kit per il suicidio riguarda il presunto “bene comune” (la società deve prendersi cura dei suoi individui), comunque, è chiaro che il divieto di vendita crei un disagio e un danno alla società stessa ben maggiore di quello generato dall’acquisto del kit e dai conseguenti suicidi.
Bloccando uno scambio libero e volontario basato sul consenso, infatti, si sta inquinando dall’alto un’azione spontanea e razionale compiuta da individui che, come tutte le azioni umane (economiche) avrebbe portato un beneficio al sistema nel suo complesso. Ci sono motivi scientifici, quindi, per cui vietare la vendita libera crea un danno.
Ma non solo. Di fatto, con la scusa della premura verso i più fragili (considerati irrazionali), si generalizza con un’azione che inibisce anche la libertà di persone la cui scelta viene fatta in base a un calcolo soggettivo razionale, come nel caso della donna di 63 anni malata e decisa a porre fine alle sue sofferenze.
Alle domande che ci siamo posti, dunque, si può rispondere così: il potere utilizzato è politico e per questo si configura come un’aggressione ai danni di individui liberi. Come tale, dunque, l’intervento per vietare la vendita e l’acquisto di kit del suicidio è sempre sbagliato e non poggia su alcun diritto legittimo da parte di terzi.