Alessandro Sallusti ha il pregio, l’unico, dei cinici: battere in brutale sincerità gli ipocriti. Se difatti resiste una certa qual differenza fra la destra e la sinistra, categorie ottocentesche che coprono una sostanziale identità sulla realtà ultima del Potere, essa non è più politica ma esistenziale e risiede nella distinzione fra cinismo e ipocrisia: a destra trionfa il primo, a sinistra prevale il secondo (mentre al centro, maestri nel confondere le acque, riescono nella mirabile sintesi dei due). Come definire sennò l’istruttiva pagina di giornalismo donataci dal direttore responsabile di Libero nel suo editoriale di oggi, se non una secrezione di bile schizzata in piena faccia al lettore, con quella caratteristica assenza di remore e freni inibitori tipica del cinicone che se ne frega di mantenere uno stile, di salvare le forme che, in parte, fanno pur sempre sostanza?
L’odierna prosa sallustiana è chiarissima: il neo-eletto presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, il leghista Massimiliano Fedriga, si è reso colpevole di aver scelto La Repubblica e La Stampa, definiti “due quotidiani di sinistra” (compagno-editore John Elkann, dove nascondi la falce e il martello?), per investire “centinaia di migliaia di euro” in inserzioni pubblicitarie per promozione turistica, nonostante le testate del gruppo Gedi siano attivissime “nel far passare le regioni governate dalla destra, il partito di Fedriga e il suo capo Matteo Salvini per dei pericolosi razzisti, dei buzzurri indegni di governare”. La Lega - anzi, sottolineatura importante - “la Lega di Fedriga” preferisce foraggiare “solo la stampa di sinistra”, anziché quella amica, del “Centrodestra” (scritto in maiuscolo) a cui ha riservato lo sgarbo di non inviare “neppure un preventivo per fare scena”. Poi, la staffilata: Fedriga sa come funzionano i giochi, perciò sa benissimo che “una buona tattica è comperarlo il nemico anziché combatterlo, tattica squallida ma efficace, soprattutto facile perché quelli di sinistra sono mediamente in vendita” (quelli di destra, invece, sono puri e casti). Crescendo finale: “se è così”, allora che l’ingrato abbia il coraggio di ammetterlo, “che noi a scrivere che lei è un grandissimo stronzo - cosa che non crediamo, abbiamo sempre sostenuto il contrario - ci mettiamo un attimo e vediamo se anche a noi arriverà un euro friulano per tenerci buoni”.
A nostra memoria, mai si era letto un attacco così feroce e ingiurioso sferrato dal timoniere di un giornale in vista, di rilievo nazionale, per banali ragioni di cassa. In genere, si evita di lavare i panni sporchi in pubblico, optando per soluzioni traverse: vendette a freddo, che come insegnava il buon Stalin sono le migliori, o, male che vada, se proprio scappa l’urgenza ritorsiva, anche un lancio a caldo di articoli a bombardamento sull’operato del traditore di turno, per cavargli la pelle senza però sollevare apertis verbis il vero movente della bastonatura. Se Sallusti, che certo non è di primo pelo, ha voluto scaraventare su Fedriga questa quintalata di fiele, forse è perché, in realtà, ha dovuto: è lecito immaginarsi, infatti, quale immane cazziatone debba essergli diluviato sulla testa da parte del commerciale, se non anche dai suoi editori, Angelucci padre e figlio (lo spirito santo è Vittorio Feltri, direttore editoriale e sommo sacerdote della religione dei dané, per il quale la qualità giornalistica si misura in quantità, in numero di copie, punto e fine). O forse, e togliamo pure il forse, di mezzo c’è anche un fatto, diciamo così, personale. A chiusura del fondo, Sallusti fa intendere che sarebbe “abitudine” di Fedriga alzare il telefono quando ha bisogno di “un marchetta o di una difesa d'ufficio dagli attacchi di La Repubblica e La Stampa”. Come dire: la nostra linea è stata sempre di appoggiarti dagli avversari mediatici, e nello specifico proprio da quelli, e tu ora finanzi loro. Tradotto ancor meglio: io, da direttore, mi espongo per te, evidentemente assicurando a chi mi paga anche un ritorno monetizzabile, e tu mi tratti così, come non contassi niente.
Circola voce che l’improvvido Fedriga abbia dato luce verde all’acquisto di pubblicità sulle corazzate Gedi non per chissà quali tatticismi politici, e soprattutto che non abbia pre-avvisato Salvini. Se fosse andata in questo modo, avremmo a che fare con un ingenuo, cosa che il governatore friulano non sembra essere. Non volendo far torto alla sua intelligenza, diventa più che plausibile l’accusa che gli muove Sallusti, ovvero di puntare a ottenere l’ammorbidimento di due giornali ostili sgranando gli euro. Anche se, a dirla tutta, Fedriga, benché in misura minore dell’omologo veneto Luca Zaia, è solitamente considerato uno dei volti moderati del Carroccio, uno spendibile successore della leadership salviniana gradito alle penne benpensanti di quelle parti. In ogni caso, nella sostanza della querelle, se ci si mette nei panni di Sallusti che dirige un organo effettivamente schierato a destra e, in particolare, storicamente affezionato alla Lega, l’ira da cui è morso ha le sue buone ragioni. E ha fatto pure bene a spiattellarle in piazza, berciando col megafono fino ad abbassarsi scompostamente all’infimo livello dell’insulto: pure il lettore più distratto o credulone adesso ha capito la famosa natura ultima del Potere in questi tempi di passioni tristi, cioè i soldi, solo i soldi, immancabilmente i soldi e nient’altro che i soldi.