È trascorso un anno dall'apertura della prima inchiesta in Vaticano per indagare sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Un’inchiesta arrivata con ben quarant’anni di ritardo. Meglio tardi che mai? Assolutamente no, visto che a fare le spese di questi assurdi ritardi c’è una famiglia che continua ad attendere il ritorno a casa di un figlia, di una sorella. Alessandro Diddi, Promotore di giustizia in Vaticano che da un anno sta portando avanti un’indagine sulla sparizione della cittadina vaticana, ha rilasciato una dichiarazione che ci ha lasciato attoniti: “Stiamo continuando a lavorare, e a differenza dell'Italia noi non abbiamo limiti di tempo, il sistema è più garantista per la persona offesa: per cui finchè il caso non è chiuso continueremo a lavorarci". Si spera. Abbiamo contattato Pietro Orlandi, fratello di Emanuela che ha commentato le parole del promotore: “Diddi è furbo. Perché? Perché il sistema giudiziario vaticano è quello che c’era in Italia nel 1929, modello inquisitorio. Non c’è termine per concludere le indagini preliminari, come in Italia adesso, per cui una persona può restare indagata per anni. Questo secondo lui agevolerebbe la parte offesa, cioè la vittima o i suoi familiari, cioè noi. A modo suo significa che siccome non c’è un termine per chiudere le indagini questo giova. Non dice, però, che così le indagini non finiranno mai, perché fanno con comodo tutto quello che pare a loro e questo non serve affatto a noi e alla verità, visto che hanno aperto un’indagine con quaranta anni di ritardo”.
E ancora: “Diddi cerca di far passare per cosa buona il fatto che interroga una persona ogni tot mesi, tanto non c’è un termine per chiudere le indagini e potrebbero farle durare all’infinito. Forse sarebbe stato più giusto e rispettoso dire “faremo di tutto per arrivare alla verità il prima possibile, visto che c’è chi aspetta da quarant’anni”. Evitando di dire “non abbiamo un limite di tempo”, perché il tempo è il nemico principale della verità. Il fatto che hai tutto il tempo che vuoi non significa che non ti devi sbrigare”. Un anno fa Pietro Orlandi è stato convocato da Diddi, un incontro in cui ha condiviso tutto il materiale da lui raccolto, indicando anche delle persone che sarebbe stato importante ascoltare: “Perché non le ha ancora convocate e ascoltate, dopo quasi un’anno dalla mia verbalizzazione? Non lo ha ancora fatto perché ha tutto il tempo che vuole? O perché magari preferisce cercare una verità di comodo che allontani le responsabilità da certi ambienti? Provando a scaricare sulla famiglia come è stato fatto vergognosamente a luglio scorso? Eh no, non dovrebbe funzionare così”. Ennesimo strumento che avrebbe dovuto avvicinare la famiglia Orlandi alla verità, ma che nel concreto si sta dimostrando solamente un effimera illusione, un modo del Vaticano per dirsi operativi ma senza agire. Tanto i limiti di tempo non ci sono. Ed ecco spiegato perché la Santa Sede giudicava la Commissione parlamentare d’inchiesta un’intromissione perniciosa.