22 giugno 1983, un caldo pomeriggio d’estate come tanti, Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, esce di casa per andare a lezione di musica, senza mai fare ritorno. Da quel giorno sono trascorsi quarant’anni, eppure, oggi come allora, si continua a rincorrere ogni pista che potrebbe condurre alla verità, condurre ad Emanuela. Nell’immaginario di tutti è ancora una ragazzina, un’adolescente come tante, prima che la sua misteriosa scomparsa catapultasse la vita della sua famiglia nella cronaca internazionale. Abbiamo intervistato suo fratello Pietro, da sempre in prima linea nelle ricerche, e per una volta abbiamo scelto di mettere da parte ogni polemica, concentrandoci solo sull’aspetto umano. Chi scrive riesce a vedere solo un uomo che si sente ancora il fratello di una quindicenne da proteggere ad ogni costo. Perché Pietro, per sua sorella, vuole solo la verità.
Chi ti ha deluso di più in questi anni?
Le ultime parole che disse mio padre per me valgono come prova: “Sono stato tradito da chi ho servito”. Conoscendolo, quella frase è la prova del fatto che all'interno del Vaticano ci siano delle responsabilità.
Come vivi questo quarantesimo anniversario?
Lo vivo come un giorno come un altro, per me non c'è molta differenza tra il ventidue giugno 2023 e un mese o due mesi fa.
La sogni ancora?
No, non l’ho mai sognata.
Ti dispiace?
No, la penso sempre quindi è come se fosse un sogno.
Come immagini ora Emanuela? Nella tua mente è ancora una quindicenne o una donna adulta?
Per me Emanuela ha sempre quindici anni. A volte ho pensato anche al fatto che una persona finché ci stai sempre a contatto, come con mia sorella Cristina, non ti accorgi del cambiamento. La vedi sempre come la stessa persona. In questo caso non lo so, perché io immagino Emanuela quindicenne, quindi adesso non saprei. La persona sicuramente cambia fisicamente.
Che donna sarebbe diventata?
Lei voleva suonare, diceva sempre che un giorno sarebbe diventata famosa e che sarebbe andata su tutti i giornali. Ci è diventata, purtroppo per motivi diversi. Lei suonava bene il notturno Chopin e la danza ungherese, sempre al pianoforte. Due pezzi che mi piacevano tantissimo.
Com'era il rapporto che avevi con lei?
Il rapporto che avevo con Emanuela era soprattutto a casa, avevamo età ed amicizie diverse, anche se conoscevamo gli amici l’una dell’altro. Fuori casa facevamo vite diverse.
Ci racconti un aneddoto di Emanuela che secondo te ne descrive la personalità?
Emanuela era una persona dura, si faceva rispettare. Quando la immaginavamo tenuta da dei rapitori, pensavamo anche a questo fatto: Emanuela è una tosta, magari anche in questa situazione si farà rispettare. E lo dimostra quell'ultimo giorno che l'ho vista, quando insisteva perché l’accompagnassi a scuola, probabilmente mi ha mandato a quel paese. Si è girata, ha buttato i capelli dall'altra parte come faceva lei, ha sbattuto la porta e se n'è andata.
Hai mai avuto la sensazione di vedere il suo volto in quello di una passante?
No, ma mi è capitato di cercarla in questo senso quando ero con mia moglie a Lucerna, perché c'erano delle segnalazioni che portavano in quella zona. Ma stupidamente, perché sapevo benissimo che non l’avrei incontrata che passeggiava. Però c'era sempre quella cosa di vedere una persona con i capelli lunghi neri. Io sono certo che Emanuela non sia a passeggio per Roma, o in una città qualunque, come qualcuno vuole far pensare. Era gelosissima dei suoi capelli. Infatti, qualche giorno prima della scomparsa, era preoccupata perché aveva fatto un sogno in cui glieli avevano tagliati. L’aveva raccontato a mia madre. Noi abbiamo pensato a questa cosa quando l'hanno presa, magari le hanno tagliato i capelli, quindi era un sogno premonitore.
C’è stato un momento in cui ti sei sentito vicinissimo a ritrovarla?
Quando siamo andati in Lussemburgo convinti di andarla a prendere. Erano passati dieci anni, 1993. Durante il viaggio pensavo a cosa avrei fatto appena l’avrei rivista, cosa gli avrei domandato, se ci saremmo abbracciati o se mi avrebbe riconosciuto o trovato cambiato. Ci hanno portato in questa struttura, mia madre l’hanno portata in un'altra stanza per farle vedere questa ragazza. Noi aspettavamo soltanto che mia madre uscisse con Emanuela da quella porta. C’era il capo della mobile, all'epoca era Cavaliere, che chiamava Roma dicendo che saremmo tornati con Emanuela. Invece, appena hanno aperto la porta, mi è bastato un secondo per vedere la faccia di mia madre e capire che non era lei. Un secondo prima è stato il momento più bello della mia vita, e un secondo dopo il momento più brutto della mia vita.
Le avevi portato un regalo?
Sì. Avevo comprato due pinguini che si abbracciavano, di quelli fatti in polvere di marmo. Ero tentato di darli a questa ragazza, che poi si è abbracciata con mia madre, per lei è stato come se avesse abbracciato Emanuela. Poi mi sono frenato, dicendomi che l’avrei tenuto da parte per quando prima o poi l’avrei ritrovata.
La gente si immedesima in te.
Sì, la cosa mi stupisce e colpisce, però mi fa un enorme piacere. Succede anche quando cammino per strada, parli con le persone e dopo un secondo è come se le conoscessi da sempre.
Come vivi l’assenza di tua sorella?
La vivo come una questione di ingiustizia totale. Io non accetterò mai passivamente un'ingiustizia. Quando vado nelle scuole, nei licei e nelle università voglio proprio portare questo messaggio, il fatto di non accettare passivamente un’ingiustizia, anche se piccola. E non è una cosa eccezionale quella che faccio io, come tante persone pensano, ma dovrebbe essere la normalità. Quando vedo questo entusiasmo da parte di ragazzi così giovani mi dà una carica e forza enorme, e quando qualcuno mi dice “ti voglio bene”, che è la cosa che mi colpisce di più, è come se me lo dicesse Emanuela.