Rosa, glitter e Margot Robbie. Barbie è il film dell'estate e sta falcidiando il mondo intero con un'esplosione pink-femminista definita dai più scorretta e contro il sistema, rivoluzionaria perfino. Tant'è. A piede libero nelle sale italiane da giovedì 20 luglio, la pellicola di Greta Gerwig domina il box office facendo sparire qualunque altra proposta attualmente in sala. Eppure, qualcosa di interessante c'è. In concomitanza con il Nuovo Testamento Femminista, infatti, è approdato nei cinema italiani un horror spagnolo dal titolo, se vogliamo, altrettanto rosa: Piggy. Non ha un cast blasonato né effetti speciali da urlo. Non è nemmeno stato diretto dalla regista più amata del momento. Però, al netto di una distribuzione col contagocce, andrebbe visto per un bagno di (sangue e) realtà che asfalta la nostra società molto meglio di quanto qualunque bambola Mattel sia stata in grado di fare. Piggy è l'anti-Barbie e, anche solo per questo, meriterebbe ben più di una chance. Un poderoso rutto in faccia alla body positivity e a tutti gli inglesismi buonisti che Instagram tiene a predicare come risultati oramai conquistati a suon di hashtag e post inclusivi. Oink.
Sara è un'adolescente spagnola con la fisicità di Lizzo che però nella vita non fa la beauty influencer. Nessuno la considera un modello da seguire, la stima per il coraggio che dimostra nell'essere se stessa, né la inonda di cuoricino sui social. Anzi, nel paesello in cui è cresciuta ha imparato ben presto il terrore. Il terrore di uscire di casa per andare a scuola, a fare la spesa, in piscina o al lago. Non c'è nulla che lei possa fare senza essere vessata sia verbalmente che fisicamente, dai coetanei come dai suoi stessi famigliari. Potrebbe, in qualsiasi momento, neutralizzarsi solo schioccando le dita per evidente superiorità fisica. Però non lo fa. Perché è pure buona. Dunque, nonostante un'assordante sofferenza del tutto gratuita, accetta il proprio destino. Destino che ha "per nascita" e contro cui non può combattere perché nessuno è disposto a curarsi di una "cicciona che sembra un maiale". Ironia della sorte, viene da una famiglia di macellai. Sciagurata circostanza, alcuni dei suoi (adorabili) compagnucci di classe cominciano a sparire...
Lei, intanto, non può nemmeno aprire i social senza essere falcidiata di insulti e "bromas" (scherzi) di una perfidia davvero horror. Tutta la prima parte del film, prima dell'innesto della storyline horror/crime, risulta davvero difficile da guardare per la cattiveria che mostra, come fosse inevitabile. Perché, purtroppo, checché ce ne vogliano dire le influencer attiviste che lottano contro il bullismo e normalizzano gli alluci valghi, è così che va. Certo, qui siamo davanti a una narrazione che si basa sull'iperbole. Ma l'iperbole ben peggiore, perché irreale, è quella delle nostre bolle social che ci raccontano un mondo inclusivo in cui cose come queste non siano all'ordine del giorno. Con buona pace della body positivity e dei brand che ripetono ossessivamente quanto siamo tutte belle così come siamo al solo scopo, malcelato, di vendere più t-shirt e accessori femminist* e aumentare il loro roseo fatturato annuo.
Piggy non è un film perfetto, ma merita di essere visto anche solo per fare un po' di detox dalle boiate che sentiamo raccontare, ogni giorno, dal meraviglioso mondo di Instagram che ci tratta e considera alla stregua di oche all'ingrasso. Le parti "splatter" ci sono, certo, ma risultano decisamente più timide di quanto ci si potesse aspettare da trailer e locandina. Piggy è l'anti-Barbie che ci meritiamo e, uscendo in questi sciagurati tempi, diventa quasi rivoluzionario. Brutto, sporco e cattivo non lascia spazio a nessuna edulcorazione asfaltando così la nostra ridente società per lo schifo che spesse volte purtroppo è.
Purtroppo distribuito col contagocce nelle sale italiane, avrete da affrettarvi per non perdervervelo al cinema. Ne varrà la pena perché, ogni tanto, fa davvero bene non essere rassicurati, sedersi scomodi e vedersi servire della fattuale "realness". Buon appetito.