Presupposto: io sono una playmate. Il mio corpo nuderrimo, rinudo e smutandato, è finito sui Playboy di mezzo pianeta. Dall’Argentina all’India, passando per l’Italia e la Spagna. Olè. Gente varia ed avariata ha dedicato momenti solitari alla mia immagine. Appassionati di falegnameria approdati sul mio scoglio. Tranquilli, mamma è ancora fiera di me e deludere mio padre è il mio hobby preferito da sempre. Questo per dire che no, col nudo non ho mai avuto problemi. Nemmeno con l’erotismo, né con chi monetizza il proprio corpo. Quello che però ho sempre avuto è coscienza delle mie scelte. E la consapevolezza che ogni scelta ha un prezzo. Ho fatto cover e paginoni centrali spiaggiata come un tonno (nudo) sul bancone di un bar e mi sono fatta un nome( o nomino) . Ma ho anche pagato pegno per questo: battutine, etichette, porte chiuse. E ora scrivo qui: col tempo ho dimostrato che oltre al culo c’è di più. Il punto è che oggi mi girano le balle, cosa che biologicamente non ho ma che sento spiritualmente mia. E perché mai? Perché vedo l’ennesima indignazione collettiva scattare come un riflesso pavloviano (brutto) sul caso di Elena Maraga, educatrice d’infanzia licenziata da una scuola privata cattolica perché aveva un profilo su OnlyFans. La notizia fa subito gola e rumore. I social esplodono, i content creator urlano (e cantano pure) allo scandalo, alla privazione di diritti, al medioevo. E lo fanno urlando nella speranza che i click aumentino. Dio che fastidio. Le Iene scattano. Il web starnazza sempre di più: “Una donna non può essere libera?”, “È il suo corpo!”,“E Maria Maddalena, allora?!”. Pure Maria Maddalena tirano fuori. Porella. E vuoi che manchino le Iene, quando c’è da confondere un caso con la zuppa di mia nonna o la persecuzione delle streghe?
Nell’intervista, l’inviata butta lì il sopracitato paragone con Maria Maddalena. Peccato che Maddalena si prostituisse ben prima di conoscere Cristo, e la Maraga (non una prostituta però) non ha mica avvisato il parroco che nel weekend si metteva in cam in mutande. Piccoli dettagli. Ma lasciamo perdere il misticismo da discount. Parliamo di fatti concreti. Primo punto (quello su cui io volo e “basisco”): stiamo parlando di un istituto privato. E cattolico. La Maraga lavorava in una scuola privata cattolica. Non aveva vinto un concorso pubblico, non era impiegata dello Stato. No. Aveva firmato un contratto con un ente che ha dei valori chiari. Non solo educativi, ma etici e religiosi. Lapalissiani proprio. L’ha fatto con una stretta di mano (credo, boh, chissà), un colloquio (beh ovvio), e un’intesa (sottintesa o scritta): se educhi dei bambini secondo una linea cattolica, non puoi fare contenuti hot su una piattaforma a pagamento. C’è chi lo accetta, c’è chi no. Ma non è persecuzione contro le tue sacrosante scelte di vita. È contratto. Secondo punto: fedeltà, esclusività e realtà giuridica. Qui entra in scena il mio commercialista, Il dott. Paolucci, che di solito mi chiama solo per darmi cattive notizie, ma questa volta mi regala anche informazioni legali: “Il dovere di esclusività impone al pubblico dipendente di riservare le proprie energie lavorative ad esclusivo vantaggio dell’amministrazione di appartenenza". Capito? Niente doppi lavori. Niente “lunedì nido, martedì bondage”. E anche se Maraga non è una statale, questo valore si riflette anche nel privato, soprattutto quando ci sono clausole etiche, come nei contesti confessionali. E se non bastasse, c’è anche il parere dell’Avv. Riccardo Lanzo, che mette il punto: “Il lavoratore ha diritto alla propria libertà sessuale, ma se la condotta è pubblica, incompatibile col ruolo o danneggia l’immagine dell’istituzione, può legittimamente essere licenziato. In particolare, in una scuola religiosa, esistono clausole e regolamenti interni che richiedono coerenza morale.” Game. Set. Match. E sbam. E bum se preferite le onomatopee e Paperinik. Terzo punto (quello piccolo ma da tenere bene a mente): la user experience di OnlyFans fa schifo.

Aggiungiamo anche un’altra cosetta che nessuno ricorda: su OF non ti trova nessuno se non condividi il link in giro. Non è TikTok, non è Instagram. È un buco nascosto che vive solo se spammato attivamente. Quindi no, non è stato “un profilo privato”. Non è stato “un hobby segreto”. È stato un secondo lavoro dichiarato, promosso, monetizzato. E non è un giudizio. È un dato. Il corpo è nostro. Ma il contesto anche. Essere donne libere non significa essere intoccabili (mica sono per davvero Maria Maddalena). Significa essere consapevoli. E se lavori con bambini, in una scuola religiosa, il patto con l’istituzione conta. Non è bigottismo. È un contratto. E la libertà, quella vera, non ti immunizza dalle conseguenze. Ti rende responsabile. Come me, che ho fatto le copertine come mamma mi ha fatta (tra l’altro grazie mamma) e poi ho imparato a prendermi i “no”come conseguenza della mia chiappa al vento. Come Elena, che adesso ha 1.800 follower (in aumento), un fisico da panico, e un futuro da cam girl all’estero e, probabilmente, una dichiarazione dei redditi a fine anno notevolissima. Le Iene hanno chiesto perdono per la nostra eroina al parroco (che rideva mentre scappava). Ma a Elena, dall’alto del suo corpone, dei follower (al momento 1800 su of), e di quelle frasi infilate come ami nel discorso : “Faccio spesso cam, se vogliono vedere cos’è… si abbonino” , non penso freghi molto. Ripetiamolo tutto insieme: dietro il licenziamento di una donna a volte non c’è un rogo di pregiudizio verde scoppiettante, c’è solo una clausola firmata, un contratto non rispettato e una nuova carriera che porterà alla “non martire” della Vicenda un botto di soldi. Conclusione: tutto è bene ciò che finisce fatturando.
