Doveva essere il raddoppio “elettrico” di Stoccarda, invece è uno stop secco. Emiliano Perucca Orfei, Masterpilot, apre il file e spara su Youtube: "Porsche dice addio alla seconda fabbrica di batterie. Disastro Bev". Non è un rumor: il progetto viene cancellato e salta l’accordo con il fornitore finlandese Valmet. Il messaggio è chiarissimo: se perfino a Zuffenhausen frenano, vuol dire che la musica è cambiata. Il quadro che Masterpilot mette in pagina è brutale: "È possibile che chiunque abbia a che fare con questa roba se la pigli in quel posto?". Dalla produzione ai fornitori, fino ai clienti dell’usato premium. Perché la domanda “non rallenta”, in realtà "non esiste" fuori da poche oasi. E mentre il centro di eccellenza di Weissach continuerà a fare ricerca, la produzione fisica degli accumulatori verrà data all’esterno. Tradotto: Porsche tiene cervello e brand, ma il cuore (costoso e volatile) batte lontano, dove materie prime e volumi li decide qualcun altro.
Sul banco degli imputati anche l’Europa: "Siamo 450 milioni di consumatori che non esistono. È un delirio". La dipendenza da catene cinesi e l’oscillazione dei prezzi dei materiali "ti sputtana le strategie industriali". Risultato: si costruiscono “mezze auto” in casa e mezza macchina arriva dalla Cina. La botta finale è il valore residuo: "Oggi l’affare è comprarsi una Taycan usata: paghi un terzo di quello che costava". L’aneddoto che vale un report: un lettore con Model Y Performance pagata 64mila oggi si sente offrire 30mila. "Neanche i concessionari la ritirano, perché sanno che ti rimane lì". La conclusione è più di un titolo: “Porsche ridimensiona, il premium si copre, la festa Bev non è mai iniziata davvero”. E se Zuffenhausen esternalizza le batterie per restare agile, il messaggio per tutta l’auto europea è uno solo: meno ideologia, più realismo industriale.
