Vanni Oddera racconta di aver pensato per la prima volta alla Mototerapia quando si è trovato in un taxi e ha sentito odore di piscio: colpa del tassista, le gambe amputate e un problema di incontinenza. Così, di fatto, dal 2008 Vanni gira l’Italia con amici, collaboratori e appassionati con l’obiettivo di regalare dei momenti di leggerezza ai bambini con disabilità caricandoli sulla moto per fare un giro, dare del gas, magari un’impennata.
Ha fatto la sua cosa a migliaia di eventi, l’ha fatto nella sua casa in campagna e negli ospedali, primo tra tutti il Gaslini di Genova, viaggiando per le corsie con una moto elettrica assieme a bambini a cui magari correva dietro un’infermiera con le flebo. Momenti che a vederli, anche soltanto in foto, ti caricano di un’energia gigantesca. Che poi è il motivo per cui Vanni Oddera è andato avanti, si è migliorato e ha coinvolto sempre più persone: quelle sensazioni lì diventano quasi una droga, perché per i bambini che aiuti diventi il supereroe che la Marvel non potrà mai dare loro.
È successo così che la Mototerapia è arrivata persino in Parlamento e oggi, quando arrivi nel paesino di Pontinvrea, tra i boschi della Liguria, trovi un cartello con scritto “Città inclusiva dove è nata la Mototerapia”. Cartello che ieri notte è stato preso a mazzate. A raccontare la storia ovviamente è stato lo stesso Vanni Oddera con un video su Instagram: “Ieri sera 18 picconate o martellate hanno quasi distrutto il cartello, guardate. Un gesto d’odio nei confronti di tantissime famiglie e persone con disabilità e non che credono in questo bellissimo progetto che si chiama Mototerapia. Che non fa male a nessuno, che fa solo del bene. Tutto quest’odio per niente, ma… non ci fermerà. Non ci fermerà neanche questo e tante altre cose che sono successe non ci fermano. Perché la Mototerapia è una cosa veramente bella che non si deve toccare”.
Questa storia lascia il tempo che trova: l'insegna di Pontinvrea rimane un pezzo di lamiera e la Mototerapia rimane il rifugio di centinaia di bambini. Eppure viene da chiedersi quanto ci si debba sentire soli per fare una cosa così. Perché qualcuno ha cercato una pala, l'ha caricata in macchina, ha aspettato la sera e poi ha guidato fino a lì, ha parcheggiato, è sceso dall'auto e ha riempito di mazzate un cartello. Poi magari è andato a dirlo agli amici. Il che racconta una storia molto più sgradevole di quanto lo sia il fatto in sé: racconta il paese in cui viviamo.