La Germania in recessione è un pessimo segnale per l’Italia. E il fatto che in un contesto come quello attuale le cause del calo del Pil di Berlino siano in larga parte esogene, dovute a uno shock energetico legato alla perdita del gas russo, non aiuta a gestire con la dovuta tranquillità le possibili implicazioni a cascata. Il professor Giulio Sapelli, parlando ai nostri microfoni, non ha mancato di rilevarlo: la crisi di offerta energetica può in caso di nuovi shock travolgere l’Europa. La Germania del cancelliere Olaf Scholz si è trovata spiazzata. E schiacciata tra le sirene del ritorno al rigore e il terrore dell’inflazione, ha sostenuto sia l’aumento dei tassi della Bce che il nuovo pacchetto di misure con cui il Patto di Stabilità europeo sarà modificato in forma più rigorista. Pessimo segnale, ma contrariamente a quanto si legge sui social in cui addirittura la recessione tedesca viene fatta passare come causa della pressione europea per la ratifica del Mes (con Berlino che “vorrebbe i nostri soldi” per salvare le sue banche) se Berlino piange Roma non può permettersi di ridere. Nuvole nere in Germania chiamano pioggia in Italia. Può non piacere a molti cittadini e commentatori abituati da anni alle frecciate dei “crucchi”, alla vessatoria percezione di un senso di superiorità da parte dei tedeschi nei confronti delle “cicale” del Sud. Ma i dati dell’integrazione economica parlano chiaro. Con il record di interscambio del 2022, la Germania si è confermata prima partner dell’Italia: La Germania è infatti il primo partner italiano sia per le esportazioni, che hanno raggiunto i 77,5 miliardi (+15,8% sul 2021), che per le importazioni (+20,2%, per un valore di 91 miliardi di euro). Berlino pesa il 13,9% nella nostra galassia di importazioni e il 12,4% in termini di export.
E c’è poi un tema fondamentale di interdipendenza settoriale: la Germania acquista enormi quantità di beni intermedi per la manifattura automobilistica e la componentistica di precisione (15 miliardi, quasi il 20% dell’export italiano) e di componenti per i macchinari industriali (10 miliardi, il 12,9% dell’export) che complessivamente coprono un terzo del rifornimento italiano al mercato tedesco. In questi prodotti è contenuta buona parte della potenza industriale tedesca che poi si sdogana sul fronte delle esportazioni in tutto il mondo della maggiore manifattura d’Europa. Mentre al contempo, con 13,1 e 11,2 miliardi, Berlino inonda il mercato italiano di automezzi e prodotti chimici. A cui si aggiungono la farmaceutica (10,5 miliardi) e gli apparecchi elettrici (6,4 miliardi) per quattro voci che rappresentano assieme il 45% delle nostre importazioni. Chiaramente, in questo sistema di integrazione verticale ogni frenata della produzione industriale in Germania, con buona pace di Claudio Borghi, Alberto Bagnai e tutti gli altri germanofobi nostrani, è una questione del Belpaese. Tocca i gangli vitali dell’industria della Lombardia e del Nord-Est, locomotive d’Italia, la certezza delle catene del valore: a marzo in Germania l’industria ha segnato -2,1% di produzione e questo ha generato un impatto sugli ordinativi in Italia, che ad aprile ha frenato del -1,9% sullo stesso indicatore. Sul Pil i due trimestri negativi della Germania si rifletteranno direttamente su Roma? Ancora presto per dirlo, ma il timore c’è. E la prospettiva che l’effetto-domino tedesco colpisca l’Italia non è da escludere. Le scellerate scelte di Berlino su tassi e rigore possono fare il resto. Mettendo Roma tra l’incudine della recessione e il martello del ritorno dell’austerità. Uno scenario già visto e che non vogliamo rivivere.