Tuona sul Corriere della sera Aldo Grasso il censore: “Ma è giornalismo del servizio pubblico mandare in onda una conversazione tra una moglie furibonda perché tradita e un marito che pavidamente accampa scuse? È uno scoop o solo una mascalzonata?». “È la stampa, bellezza”, gli avrebbe risposto Humphrey Bogart. La quale stampa – ma il tribuno del Corriere non può saperlo perché è solo giornalista pubblicista, cioè scrive sui giornali e fa un altro lavoro – è di sua natura sbirresca: con la differenza che gli sbirri veri operano per conto dello Stato, mentre la stampa agisce nell’interesse dell’opinione pubblica. Che deve essere sempre tenuta informata senza limiti, modi, maniere e condizioni, quanto più i fatti siano di interesse pubblico e puranche quando si tratti di “spazzatura spacciata per giornalismo d’inchiesta”, fatta di “audio rubati, interviste con la telecamera nascosta, fastidiosi pedinamenti stradali”. Epperò per gli sbirri gli “audio rubati” sono file acquisiti, le “interviste con la telecamera nascosta” intercettazioni e i “pedinamenti stradali” controlli della persona indagata, senza che nessun Grasso dia loro dei mascalzoni. Mascalzone è chi si sottrae all’opinione pubblica e non chi la rappresenta. Del resto lo dice anche la Costituzione all’art. 21: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Autorizzazioni sono di fatto anche quelle che i “pedinati” on the road - quali sono stati Francesco Gilioli e Clemente Contestabile, alti funzionari del ministero della Cultura secondo Grasso infastiditi dai Reporter - pretendono di avere mostrate quando vengono richiesti di dare spiegazioni su questioni che poste loro da un carabiniere non li indurrebbero certamente a rispondere (come hanno fatto in una tiritera stucchevole - e quella sì fastidiosissima - entrambi i dirigenti di Sangiuliano) “Buona giornata e buon lavoro” per poi darsela a gambe come i conigli preda dei segugi delle Iene.
Censure sono quelle che i tanti detrattori di Report, tutti contrari al credo della pubblica opinione, vorrebbero porre all’esercizio della libertà di stampa: baluardo della democrazia che stabilisce come mandare in onda (ancor più per un servizio pubblico) e rendere noto ogni elemento in possesso, anche il più intimo e scabroso, non sia per un giornalista un atto discrezionale ma un adempimento obbligatorio. Solo pensare se sia giusto ed etico significa per un giornalista fare politica ed essere di parte. Perciò la telefonata privata tra la moglie tradita e il pavido marito, ministro, assume rilievo pubblico e dunque importanza giornalistica perché del membro del governo offre elementi maggiori alla conoscenza della sua condotta privata, che ha sempre rivolgimenti pubblici, come insegna la storia. Se invece che farsi partire ogni volta l’embolo solo a sentire parlare di Report, i fautori del giornalismo inteso come bollettino delle buone azioni si valessero degli strumenti legali dati dall’ordinamento giuridico, dalla querela alla denuncia alla richiesta di sequestro, non ci sarebbe bisogno di un difensor fidei del tipo di Grasso che con i Vip fa come il cacciatore iscritto all’Enpa: uccide certi animali mentre altri corre a salvarli.
Ma gli allergici a Report preferiscono farsi giustizia con gli stessi mezzi che rimproverano a Ranucci e alla sua "banda", così da poter investire Grasso del titolo di cavaliere del sacro sepolcro della politica italiana. E l’uomo del catodo è partito lancia in resta: Luca Bertazzoni, uno dei Reporter, è autore di una “vergognosa inchiesta”, Ranucci è descritto (da lui) “molto vicino ai 5 Stelle”, Report è “finto giornalismo d’assalto”, la storia di Sangiuliano e Boccia non interessa più a nessuno (ma al suo stesso Corriere della sera interessa eccome giacché se n’è ancora occupato l’ultima volta appena il 9 dicembre scorso). Piuttosto Report ha un difetto di fabbrica già dal tempo di Milena Gabanelli: la presenza del conduttore, che riassume, ripete, anticipa, spiega, rompe, interrompe e soprattutto trancia giudizi personali. Di suo Ranucci ci mette un sorrisino beffardo e fuori luogo a mo’ di ghigno che significa “guardate quanto siamo bravi a sgamare malfattori e malefatte”. Per non avere difetti Report dovrebbe invece essere una successione di inchieste presentate come referti oggettivi e impersonali, non costituire un commando di impavidi e impenitenti teste di cuoio che sembrano esibirsi ai comandi di un cinico e vanesio sergente, peraltro non esattamente dotato del phisique du role richiesto dalla televisione. Tolto però questo handicap originario, Report è oggi in Italia il solo degno erede di gloriose e benemerite testate d’inchiesta che hanno fatto la storia, dall’Espresso a L’Ora a Epoca. I suoi giornalisti meritano un complesso marmoreo eretto accanto al Cavallo di Viale Mazzini e la medaglia al valore civile e sociale del presidente della Repubblica. Sono gli unici giornalisti italiani che fanno parlare del loro lavoro, determinano effetti anche politici oltre che giudiziari, hanno il coraggio di scoprire altari coperti pur operando nell’altare maggiore, che è la Rai. E Grasso (che non cola) farebbe bene a cercarla altrove la spazzatura in televisione: per esempio la mattina e il pomeriggio tra le insulse trasmissioni infotainment che riempiono tutte le reti e la sera tra i talk show di costanziano retaggio, dove volgarità, sciatteria, ignoranza, arroganza, quella supponenza becera di tutti i conduttori, la prosopopea degli ospiti tra sussurri e grida propri e del pubblico irreggimentato, le argomentazioni a tesi, gli scontri verbali ad arte, i giornalisti che diventano personaggi e attori (molti pronti, oltre a Crozza, a citare Report e le sue imprese), “si incanagliscono”, per usare un termine piaciuto al Nostro, a rendere il pubblico italiano sempre più nazionalpopolare, beghino e distratto.