Raoul Bova ha detto “occhi spaccanti”. Stefano De Martino, udite udite, ha rapporti sessuali con la sua fidanzata. Chiara Ferragni e Fedez non dormono mai senza che qualcuno vegli sulle loro stories, mentre Tony Effe entra ed esce da relazioni monitorato costantemente dai media. Tutto questo, quotidianamente, trova spazio nei giornali, nei telegiornali, nei siti d’informazione, nei programmi di approfondimento. È la linfa dell’infotainment: il gossip elevato a notizia. E a noi di MOW certo non sfugge l'importanza sociale (e politica) delle, come si diceva una volta, notizie di "costume". Ma il cortocircuito esplode quando ci accorgiamo di ciò che non viene detto, di quello che viene, letteralmente, nascosto sotto il tappeto dell'ipocrisia. Pochi giorni fa un giornalista di La7 (o almeno così lo identifica Welcome to Favelas, nella persona di Francesco Magnani - e la mancanza di smentite fanno oggettivamente supporre che WTF ci abbia preso), non un ragazzino ubriaco in discoteca, non un rapper strafatto, ma un professionista della comunicazione, in un contesto pubblico ha urlato “W le Brigate Rosse”. Una frase "forte", "fortissima" in grado di aprire - e finalmente - un utile e necessario dibattito sul sistema malato dell'informazione fatto di vizi privati e pubbliche virtù. Eppure, silenzio. Nessun titolo sparato, nessun commento (tranne il nostro), nessuna riflessione.

Ora, la domanda è semplice: perché Raoul Bova fa notizia se conia un’espressione come “occhi spaccanti”, mentre un giornalista che inneggia alle Brigate Rosse viene protetto da un cordone sanitario mediatico? Perché la vita sessuale di De Martino e la depressione matrimoniale di Ferragni e Fedez diventano affare nazionale, mentre una vicenda che potrebbe aprire una riflessione seria sul giornalismo italiano resta sotto traccia? C’è una risposta scomoda: i giornalisti, soprattutto se già volti noti, godono di una protezione che gli altri non hanno. Una casta. Sì parla di "casta" dei magistrati, si parla di "casta" politica", nessuno solleva la questione della casta dei giornalisti che si raccontano a vicenda, si assolvono a vicenda, si coprono a vicenda. Lo hanno fatto anche stavolta. Il punto non è se il giornalista in questione creda davvero alle Brigate Rosse (noi crediamo di no e abbiamo pubblicato una articolessa in cui sosteniamo che Francesco Magnani sbroccato sia più "normale" di un qualsiasi giornalista lucido nell'esercizio delle sue leccate. Il punto è che un fatto simile, se riguardasse un attore, un cantante, un influencer, sarebbe stato massacrato, analizzato, manipolato fino alla nausea. Sintonizzatevi su un qualsiasi talk show e immaginate Elodie che urla “W le BR”. Avremmo editoriali, interviste, analisi sociologiche, inviti al rispetto della memoria delle vittime. Ma se accade a un collega della categoria, meglio tacere. Il silenzio non è neutrale: è una scelta editoriale. È la decisione di non aprire una riflessione sul potere e sulla responsabilità della parola giornalistica, diventata oramai la puttana del potere. E allora il cortocircuito è questo: la nostra informazione è capace di trasformare in notizia la qualunque, purché riguardi vip, influencer, calciatori e attori. Ma si auto-censura quando si tratta di guardarsi allo specchio. Perché lì il rischio è troppo grande: scoprire che chi dovrebbe raccontare il mondo lo filtra secondo convenienze di casta, di carriera, non di "occhi spaccanti" ma di cu*i spaccati (che benediciamo nel provato del talamo ma condanniamo nella vendita della propria anima al sistema dell'informazione che premia la vaselina). In fondo, Ferragni, Fedez o Tony Effe hanno una funzione precisa: distrarre, alleggerire, produrre rumore di fondo. Sono il teatro dell’irrilevanza. Ma i giornalisti no: loro dovrebbero fare un altro mestiere. Se non lo fanno, se diventano complici del silenzio, allora sì che il problema diventa politico.

E forse la vera notizia non è che Raoul Bova dica “occhi spaccanti”. La vera notizia è che un giornalista possa inneggiare alle Brigate Rosse senza che nessuno lo dica, e senza che nessuno apra non dico un dibattito ma una discussioncella. Perché nel momento in cui l’informazione smette di informare su se stessa, non abbiamo più giornalismo: abbiamo un club privato che protegge i propri soci, in nome del padrone (Urbano Cairo, nella fattispecie) mentre il pubblico viene distratto con le mutandine di De Martino e le smorfie di Tony Effe. David Parenzo, che condivide con Francesco Magnani la conduzione de "L'aria che tira" è più bravo a perculare Er Brasiliano che a guardare alla sedia sulla quale è assiso, ancora calda del culo di Francesco Magnani, che, a dirla tutta, ha sbroccato come Er Brasiliano contro le forze dell'ordine. Ma siete bravi e coraggiosi a perculare Er Brasiliano e a tacere di Francesco Magnani. E fate i forti coi deboli e i debolissimi coi forti (Urbano Cairo)? Parenzo e Cruciani, aspettiamo l'invito a La Zanzara di Francesco Magnani. Vi regge la pompa o siete moscissimi con il Potere?