"Forse non sono un bravo regista, potrei smettere di fare film". Queste le rassegnate parole del cineasta trentenne Xavier Dolan, pluripremiato a Cannes, che negli ultimi giorni si è detto profondamente deluso dalla settima arte. Nonché, forse, da se stesso. Una riflessione amara e inaspettata, una riflessione che, di certo, non ha mai accarezzato, invece, il nostro Paolo Ruffini. Da giovedì 6 luglio è in sala l'ottavo lungometraggio che ha diretto e interpretato, Rido perché ti amo. Una commedia romantica che dovrebbe raccontare la storia d'amore tra il maître pâtissier Leopoldo Timi (il candidato al David di Donatello Nicola Nocella) e la sua Amanda (la bravissima esordiente Barbara Venturato). Insieme fin dalle elementari, i due stanno per sposarsi, ma lui è troppo preso dal lavoro (diffidate sempre da chef e affini, razza crudele) per dar peso alla questionucola dell'imminente fatidico sì. Ostacolo ancora maggiore allo sviluppo del loro rapporto, nonché della trama stessa, la fastidiosa presenza del regista che, dopo i primi venti minuti, decide di ingombrare ogni scena per qualsivoglia futile motivo gli venga in capo. Da Paolo Ruffini a Paolo Paolini, recensione di un fastidioso pasticcio di ego e ostinato presenzialismo che avrebbe potuto essere un bel film.
Paolo "Paolini", da ora in poi, per praticità, lo chiameremo così, interpreta l'amico del protagonista, Ciro. 50enne, ma pur sempre potenziale talentuosissimo regista, come prova delle proprie velleità cineaste ha un cagnolino che si chiama "Ciak". E basta. Le donne, poi, ex fidanzata compresa, lo amano. È rilevante? No. Ma regala la possibilità di brutilazzare nella pellicola una scena di sesso di minuti cinque con il nostro e la sua sciagurata a cospargersi di panna. E chissenefrega. Considerato, soprattutto, che fin dall'inizio i protagonisti di questa storia dovrebbero essere Leopoldo e Amanda, innamorati e promessi sposi (oforse no). Paolo Paolini se ne è forse dimenticato? Purtroppo, sì.
Il piano sequenza in cui la coppia discute riguardo alle nozze è una prova attoriale davvero magistrale, nonostante il fatto che, pur essendo in una cucina professionale, il maître pâtissier Leopoldo non indossi né cuffia né guanti, pur toccando con mano molti ingredienti. Non importa, non siamo mica l'ASL. La scena sembra, nel complesso, una lite di coppia di un film di Gabriele Muccino. Però col volume regolato giusto. Si vuole bene a questi due da qui. Peccato, poi, che le loro tracce si perdano nel corso del film. Perché Paolo Paolini deve impallarli, è una compulsione, una necessità personale. Non certo del pubblico.
La trama un filo naïf sarebbe stata in ogni caso perfetta per gli amanti delle commedie rosa. Paolo Paolini, però, tiene a farla ristagnare nella melassa, rendendola stomachevole perfino per gli ultimi degli eroi romantici. Ed eccola diventare una fabiovolata tutta buoni sentimenti e roboanti banalità da biscotti della sfortuna. Il problema, oltre alla glassa di telefonatissimi cliché, è che il film, dopo i primi venti minuti, si squaglia in una giustapposizione di scene che manco paiono conoscersi di vista. Messe insieme con l'accetta. Dell'amore, s'intende. Ma solo per se stesso.
Tale montaggio criminoso cannibalizza il romanticismo, gli eroici tentativi adottati da Leopoldo per cercare di riconquistare l'amore di Amanda, tutto viene appiattito in favoletta monodimensionale, privata di quell'energia, di quella vitalità matta e disperatissima che ne sarebbe stata, in un mondo giusto, il motore principe. L'intero arco narrativo è impallato da Ciak che abbaia, da Paolo Paolini che sputa una perla di saggezza random, da Paolo Paolini che è bravo, da Paolo Paolini che si emoziona, da Paolo Paolini anche molto hot (ma pure sensibile, con certi occhioni umidi che manco Dawson di Dawson's Creek. Solo, con qualche decennio in più sulla collottola. Purtroppo, però, non era questa la storia che l'inizio del film ci aveva promesso. Pazienza, si resta a digiuno. Anzi, proprio a letto senza cena.
Rido perché ti amo è un peccato. Cannibalizzato dal suo stesso regista, deraglia verso sottotrame poco e niente interessanti mirate solo a mettere in splendida luce un personaggio marginale e pure fastidioso: "Ciro" sghignazza convulsamente senza alcuna ragione plausibile ogni volta che Paolo Paolini ricorda di essere nel bel mezzo di una commedia (romantica). E ride da solo, ovviamente. Non c'è membro del cast o comparsa che non si prodighi a riempirlo di complimenti randomici, tutti lo amano. Con un centesimo di questa smargiassa convinzione, virato all'amor di trama e non di sé, sarebbe uscito, forse, un film gradevole per non dir bello. Un film gradevole per non dire bello che, purtroppo, non vedremo mai. Possiamo solo augurarci che a Paolo Ruffini, chiamiamolo col suo nome per una volta, venga un attacco di "Dolanite". Ma, allo stesso tempo, sappiamo che non accadrà. È troppo bravo, lui. Lo amano tutti, riceve solo complimenti, è anche belloccio assai e non c'è "bella topolona" che gli possa resistere. Nel Sottosopra.