La strage di Erba, 11 dicembre 2006. Era un lunedì sera, e inizialmente si pensava che si trattasse di un incendio, per questo vengono chiamati i vigili del fuoco. Nell'appartamento della corte di via Diaz, a Erba, nella provincia di Como, una volta domate le fiamme si presenta uno scenario drammatico: cinque corpi. Si tratta di tre donne, un uomo e un bimbo piccolo accoltellati più volte. Ma non tutti sono morti: l'uomo è ancora vivo, e diventerà testimone dell’accaduto. A essere brutalmente uccisi sono Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk di due anni, la madre di lei Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. A salvarsi il marito della Cherubini, Mario Frigerio, per una malformazione che fa sì che la sua carotide non venga recisa. In un primo momento i sospetti si concentrano sul marito di Raffaella Castagna, che non si sa dove sia e si pensa che Azouz Marzouk, tunisino, sia in fuga. L’uomo aveva precedenti penali per droga, ed era libero grazie all'indulto. A scagionarlo è il suocero, Carlo Castagna. Nessuna fuga, Azouz era in Tunisia per un viaggio programmato da tempo. Un mese dopo la mattanza vengono arrestati Rosa Bazzi e Olindo Romano: la coppia che vive nell'appartamento al piano di sotto. Movente? Con la famiglia Marzouk c'erano dei contenziosi aperti, e due giorni dopo l’assassinio era fissata l'udienza della causa civile con Raffaella Castagna che aveva denunciato i coniugi Romano, che da tempo si lamentavano dei i vicini eccessivamente rumorosi. Per la sera degli omicidi i due dicono di avere un alibi: erano a cena da McDonald’s a Como e hanno tenuto lo scontrino, ma l’ora non li scagiona.
Chi sono Rosa e Olindo
È come se Rosa e Olindo fossero una cosa sola: a legarli un rapporto simbiotico. Sono sempre e solo loro due, due solitudini che si sono incontrate. Lei lavora come donna delle pulizie e lui per un'azienda di smaltimento rifiuti, addetto alla guida dei mezzi pesanti. Sono sempre e solo loro due: non hanno figli e nessun rapporto con le rispettive famiglie d'origine. Olindo, il primo di quattro figli, litiga con i fratelli per via della casa di famiglia e interrompe ogni rapporto con loro. Rosa è l'ultima di tre sorelle. Dopo la quinta elementare, lascia la scuola. I due confessano il delitto due giorni dopo il fermo. Olindo tenta di prendersi tutte le responsabilità, chiedendo di poter vedere la moglie. Confessioni che sembrerebbero essere state estorte, come sostiene la difesa. Si tratterebbe di "false confessioni acquiescenti", questo l’esito della consulenza che i legali dei coniugi hanno affidato a un collegio di quindici esperti, con a capo Giuseppe Sartori, professore ordinario di neuropsicologia e psicopatologia forense all’Università di Padova: “Le confessioni dei Romano sono state ritenute valide in base a un presupposto: non c’è nessuno innocente che si autoaccusa di qualcosa che non ha fatto. Sono confessioni che hanno la parvenza di essere dettagliate, ma molte delle descrizioni non potevano essere fatte. Infatti, in quella casa, al momento della strage, era buio pesto, erano le otto di sera e la luce era staccata. I Romano non potevano raccontare ciò che non potevano avere visto, ad esempio, come erano vestite le vittime. Quindi quello che raccontano non può che avere una provenienza esterna. Un altro indicatore inconfutabile di falsa confessione è il racconto dell’uccisione della vicina Valeria Cherubini. La Cherubini muore in casa, al piano di sopra, dopo essere scesa al piano di sotto. Gli inquirenti insistono perché i Romano confessino di essere saliti. Loro no, per una volta, l’unica, non aderiscono a quanto viene prospettato. Dicono di avere colpito la Cherubini al piano di sotto, sul ballatoio dell’appartamento di Raffaella Castagna. Ma la Cherubini non poteva essere stata colpita lì ed essere risalita perché aveva una lesione al muscolo psoas, muscolo che, se leso, avrebbe impedito la salita delle scale. Se fosse stata colpita al piano di sotto, come dicono i Romano, non sarebbe mai riuscita a raggiungere il suo appartamento, dove è stata ritrovata. Questo nuovo dato è rilevante perché dimostra come il racconto di Olindo sia falso. I Romano posseggono disturbi psicopatologici, suggestionabilità e acquiescenza. Certamente Rosa ha una disabilità intellettiva. Il suo QI è pari al 50, un quoziente che impedisce di imparare a leggere e infatti non sa leggere, così come non sa riportare correttamente la sua data di nascita. Dai test ai quali lo abbiamo sottoposto, Olindo Romano è risultato un credulone incredibile. Si era convinto che poteva beneficiare di una cella matrimoniale". Gli errori commessi da Rosa e Olindo durante la loro confessione sono incalcolabili.
Il processo
Nell’ottobre del 2007, durante l’udienza preliminare, Rosa e Olindo si proclamano innocenti, ritrattando le rispettive confessioni. Il processo prende il via a gennaio 2008, e nel corso delle varie udienze viene ricostruito quanto accaduto la sera della strage. Per l’accusa alle diciannove di sera i coniugi Romano raggiungono l'appartamento di Raffaella Castagna armati con due coltelli e una spranga di ferro, poi danno tutto alle fiamme per non lasciare tracce. Ma il fumo esce dalla casa e i vicini, i Frigerio, si rendono conto che qualcosa non va. Ad assassinare Valeria Cherubini, secondo la ricostruzione della procura, è Rosa, mentre Olindo colpisce il marito, per poi andarsene e tornare due ore più tardi. La famiglia Castagna. “Durante il processo speravo che da quei due uscisse una parola in questo senso. Che i nostri cari non fossero stati ammazzati per odio ma per un attimo di follia. Avrei preferito meno anni di galera in cambio di questo conforto. E invece l’omicidio di nostra madre, di nostra sorella e del bambino era stato premeditato. Ci avevano provato altre due volte. Fu solo una storia di odio. Odio reale”. Durante il processo la testimonianza di Mario Frigerio si rivela fondamentale per l’accusa: “Lo ripeterò finché campo: è stato Olindo, mi fissava con occhi da assassino, non dimenticherò quello sguardo per tutta la vita, ho come una fotografia. Olindo era una belva, mi schiacciava con il suo peso, era a cavalcioni su di me. Ha estratto il coltello mentre mia moglie invocava aiuto. Poi mi ha tagliato la gola, non ho sentito più nulla, solo il sangue che usciva e il fuoco che divampava. Ho pensato: se non muoio per la ferita, muoio tra le fiamme”. Olindo e Rosa sono stati condannati all’ergastolo con isolamento diurno per tre anni, sentenza che è stata poi confermata sia in Appello che in Cassazione. Rosa si trova nel carcere di Bollate, a Opera lui, e si vedono due ore tre volte al mese.
Le incongruenze nella tesi dell'accusa
Tra gli elementi che hanno portato alla condanna di Olindo e Rosa c’è sicuramente il riconoscimento da parte di Mario Frigerio, eppure queste sono le primissime dichiarazioni rese dall’unico sopravvissuto della strage, in cui rimase gravemente ferito: “Erano circa le otto della sera, stavo guardando la tv mentre mia moglie voleva uscire per portare fuori il cane. Abbiamo udito delle grida provenire dall'appartamento del piano inferiore e ho consigliato a mia moglie di attendere circa dieci minuti per uscire, questo perché le liti al piano di sotto erano frequenti. Poi mia moglie è uscita col cane. Al suo rientro mi ha detto che c'era del fumo nell'appartamento di sotto. Allora sono sceso anch'io, ho visto la porta socchiusa dell'appartamento della Castagna. Quell'uomo ha estratto un coltello e mi ha tagliato la gola, poi ho perso conoscenza. Posso descrivere l'uomo come segue: corporatura robusta, tanti capelli corti neri, carnagione olivastra, occhi scuri, senza baffi, era vestito di scuro, ma non so precisare il colore. La luce delle scale, che è a tempo, si è spenta e ciò non mi ha consentito di reagire prontamente all'aggressore il quale aveva una forza bruta. Mentre venivo aggredito sentivo le urla di mia moglie, pertanto penso che vi fosse almeno un altro aggressore. Gli aggressori ci hanno trattato come capre. Non so che lingua parlassero, perché non li ho sentiti parlare”. In queste parole non vi è alcun riferimento ad Olindo, ma Frigerio fornisce una descrizione dell’aggressore che farebbe pensare a un extracomunitario di provenienza araba. Questo ha portato i consulenti a parlare di un peggioramento della condizione psichica e di un deficit cognitivo a cui Mario Frigerio è andato incontro durante la degenza ospedaliera, e di errate tecniche di intervista investigativa dense di numerose suggestioni, sconfinando in una palese violazione di leggi scientifiche in materia di memoria e del riconoscimento dei volti. Questo a dimostrazione che la memoria riguardante Olindo Romano come suo aggressore è una falsa memoria, e che Frigerio era inidoneo a rendere valida testimonianza durante il processo.
Altro elemento portato dall’accusa è la macchia di sangue rinvenuta sul battitacco dell’auto Seat Arosa di proprietà di Olindo Romano, va detto che la macchina fu ispezionata per ben due volte. I Ris, infatti, non trovano alcuna traccia ematica sul battitacco. Successivamente, durante la seconda ispezione svolta dai carabinieri, nella persona del solo Brigadiere Fadda a distanza di quindici giorni dalla strage, viene repertata la famosa macchia di sangue, macchia che dalle fotografie scattate non appare visibile, e che fu poi attribuita a Valeria Cherubini. Le varie fasi di ispezione, repertazione, verbalizzazione e trasmissione sono avvenute con modalità e tempi non tracciabili oltre che a dir poco trasparenti. Non è in discussione che il reperto di sangue sia appartenuto a Valeria Cherubini, ma che si tratti dello stesso campione prelevato dal Brigadiere Fadda sul battitacco dell’auto di Olindo. Ci sono poi le intercettazioni ambientali registrate a bordo dell’auto, in cui è possibile ascoltare come i due si domandano chi possa essere il colpevole, professano la loro innocenza e non mostrano nessun segno di preoccupazione.
La gogna mediatica
Sono trascorsi diciotto anni dalla strage di Erba, eppure mediaticamente parlando è come se fosse accaduto ieri. Abbiamo tutti memoria di un processo celebrato prima in tv e sui giornali e poi nelle aule del tribunale. Facciamo tutti parte di quel pubblico famelico sempre più desideroso di particolari, dettagli e di approfondimenti. Ma soprattutto bisognoso di un colpevole e, in questo caso, molto probabilmente, questo aspetto ha fatto la differenza nella sentenza di colpevolezza nei confronti di Olindo e Rosa. C’era la necessità di consegnare il mostro di turno all’opinione pubblica, di dare in pasto un colpevole alla gogna mediatica. E se in carcere da tutti questi anni ci fossero due innocenti? Non è mica cosa da poco, diciotto anni che mai potranno essere loro restituiti. La giustizia, d'altronde, non è sempre giusta.
L'inchiesta delle Iene
Le Iene da anni si occupano del caso di Erba, tentando con la propria indagine di smontare quell’apparente “granitica” colpevolezza messa in piedi dall’accusa, dando voce alle tesi di giornalisti, avvocati e criminologi che hanno studiato le carte processuali evidenziando la valanga di errori commessi. Nei loro servizi hanno mostrato anche quello che è possibile definire come un “supertestimone”: Chemcoum Ben Brahim. L’uomo ha raccontato ai microfoni delle Iene di essersi presentato due volte dai carabinieri per raccontare di aver visto, la sera della mattanza e a poca distanza dalla corte di via Diaz, diverse persone che discutevano animatamente in arabo. Chemcoum si è detto disponibile a ripetere la sua testimonianza davanti ai magistrati. Noi di MOW abbiamo intervistato Antonino Monteleone, giornalista delle Iene, da sempre convinto sostenitore dell’innocenza di Rosa e Olindo: “Finché uno non sa la geografia dei luoghi, cosa sarebbe dovuto succedere secondo le sentenze un dubbio ce lo può avere, dopodiché non sta niente in piedi. Mi sono reso conto che chi questa storia la legge dai giornali ha delle lacune che sono molto difficili da colmare senza l’accesso diretto al materiale processuale. Abbiamo raccontato una serie di cose riscontrate e riscontrabili che però non sono mai state dette. In diciotto anni nessuno si era posto il problema di andare a parlare con il brigadiere che aveva trovato la macchia di sangue nella macchina di Olindo. Trovare, vedere dove abita, appostarsi per delle ore, sputare il sangue per fargli due domande a cui risponde che “mica li avranno condannati per questo, poteva essere un inquinamento”.
Le piste alternative
Le Iene si sono occupate anche di fornire delle piste investigative alternative che, all’epoca delle indagini non furono prese in considerazione: “E’ stato sottovalutato e poco esplorato tutto il background che gira intorno ad Azouz Marzouk, alla sua famiglia e al ruolo che avevano nel mercato della distribuzione di stupefacenti in quel periodo”. Piste che, quindi, vanno dalla faida nata per questioni legate a droga e soldi tra un gruppo di spacciatori albanesi in aperto contrasto con i tunisini vicini a Marzouk, arrivando poi agli affari della N'drangheta, organizzazione criminale calabrese che al tempo aveva delle ramificazioni anche ad Erba. Azouz, come ha più volte ribadito, non ha mai creduto nella colpevolezza di Olindo e Rosa: “Perché hanno confessato, quando non sono stati loro? Io non lo so, non me lo posso spiegare. Sicuramente sono stati ingenui, ma si vede lontano un miglio, non credo di essere l'unico a dire questo. È stato qualcuno che sapeva come colpire nella gola. Non credo che per dei rumori si possa arrivare a questo”. Secondo Azouz Olindo Romano e Rosa Bazzi sarebbero in realtà due capri espiatori, e che il colpevole sarebbe qualcuno su cui non si è ancora indagato. Persone che sapevano bene come muoversi e come agire, probabilmente dei professionisti.
La revisione del processo
Ci sarà una revisione del processo per Rosa Bazzi e Olindo Romano. La Corte d’Appello di Brescia, ordinando la citazione a giudizio di tutte le parti all’udienza dibattimentale che si terrà il prossimo primo marzo, ha fatto retrocedere i coniugi Romano al ruolo di “imputati”. Si è arrivati a questo risultato grazie alle istanze di revisione presentate quasi in contemporanea dal sostituto procuratore generale Cuno Tarfusser, dal tutore e dai legali dei due coniugi. Gran parte del merito va anche all’inchiesta portata avanti in questi anni dalle Iene. Tarfusser: “Già a suo tempo le prove erano debolissime e poco consistenti, se mai si può parlare di prove. Anche se c’è il rispetto di fondo verso le sentenze. Però anche le sentenze possono sbagliare e io credo che siano sbagliate. Ci sono stati sviluppi che gettano una luce completamente nuova su prove che erano poco consistenti, e con le nuove prove vengono spazzate via”. Per questa richiesta di revisione Tarfusser, considerata fuori dalle regole dal capo del suo ufficio che aveva dato parere negativo, è anche finito sotto procedimento disciplinare: “Se non l'avessi fatto, non potrei più dormire, non sarei più sereno con me stesso, col mio dovere, con la mia deontologia”. Durante il processo di revisione si discuterà dei tanti aspetti incongruenti che hanno portato alla condanna dei coniugi: le intercettazioni ambientali, il riconoscimento di Mario Frigerio, i testimoni mai ascoltati fino alle modalità della morte di Valeria Cherubini, giudicate dalla difesa incompatibili con la tesi della colpevolezza dei due coniugi. La revisione potrà concludersi con l'assoluzione di Rosa e Olindo, con una nuova condanna o con una dichiarazione di inammissibilità dell'istanza di revisione.