È fissata al prossimo primo marzo la revisione del processo per Olindo Romano e Rosa Bazzi, i coniugi condannati all’ergastolo per gli omicidi di Raffaella Castagna, Youssef Marzouk, Paola Galli, Valeria Cherubini e per il tentato omicidio di Mario Frigerio. Con la citazione a giudizio, arrivata dopo una serie di istanze di revisione presentate dai legali dei due, Olindo e Rosa retrocedono al ruolo di “imputati”, dopo diciotto anni trascorsi dietro le sbarre. Un risultato enorme, a cui si è arrivati anche grazie al contributo del giornalista Edoardo Montolli, che noi di MOW abbiamo intervistato, da anni convinto sostenitore dell’innocenza della coppia. È autore, insieme al giornalista Felice Manti, del libro “Il grande abbaglio” pubblicato nel 2008, in un momento in cui per l’opinione pubblica Olindo e Rosa non erano altro che dei mostri. Una vera e propria controinchiesta sulla strage di Erba, che mette in discussione tutte quelle prove che al tempo venivano considerate granitiche. Quali? Il riconoscimento di Frigerio, unico sopravvissuto alla mattanza, la macchia di sangue rinvenuta nell’auto di Olindo e la confessione resa dalla coppia. Confessione fatta passare per dettagliatissima, quando in realtà gli errori e le inesattezze sono quasi incalcolabili. Insieme a Montolli abbiamo ripercorso tutte le incongruenze processuali e non solo, in un racconto di fatti e dettagli per lo più sconosciuti a chi è abituato a nutrirsi dei copia e incolla forniti dalla comunicazione mainstream: “Non c’è alcuna prova della loro colpevolezza: non c’erano loro tracce sulla scena del crimine e non c’erano tracce delle vittime in casa loro. Vedo che intanto vari giornali hanno ricominciato a scrivere leggende…”.
Ti aspettavi che si arrivasse davvero alla revisione del processo?
Ci speravo. Ma è ancora presto per capire cosa succederà.
Quando e perché hai iniziato a interessarti al caso?
Nel novembre del 2007 Felice Manti, che sapeva che spesso mi ero occupato di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari, mi disse che c’era il rischio che Olindo e Rosa fossero innocenti. Ovviamente ebbi la stessa reazione che ha chiunque si approcci per la prima volta al caso: “Ma come? C’è un riconoscimento, una macchia sull’auto della coppia e delle confessioni”. Guardando le carte mi accorsi che però le cose non stavano affatto così. A partire dal riconoscimento di Mario Frigerio: per tutti aveva riconosciuto Olindo come aggressore fin dall’inizio. Scrivemmo noi a undici mesi dall’arresto che all’inizio e per molti giorni a seguire Frigerio aveva invece riconosciuto un uomo olivastro, mai visto prima, più alto di lui ed esperto di arti marziali. Questo significava che per undici mesi nessuno aveva letto le carte, limitandosi a riportare quanto volevano gli inquirenti. Questa voragine informativa la stiamo pagando ancora oggi. Ma è un vizio tutto italiano.
È questa secondo te l’incongruenza più grande del caso?
Sì, il riconoscimento di Mario Frigerio. Sostenne in aula che dal 20 dicembre 2006, giorno in cui aveva incontrato il comandante Gallorini in ospedale, aveva rivelato a tutti e per sempre che ad aggredirlo era stato Olindo. In realtà scovai audio ben successivi in cui il testimone non ricordava assolutamente nulla. Purtroppo, quelle intercettazioni non entrarono mai nel fascicolo del dibattimento, e ora la difesa le ha presentate tra le nuove prove.
Pensi che la vera memoria di Frigerio sia stata alterata dagli inquirenti?
A differenza di altri, che discettano della materia dando giudizi pur non essendo scienziati, mi limito a documentare che fino al 26 dicembre, contrariamente a quanto dichiarò il teste in aula, Frigerio non ricordava assolutamente nulla, nemmeno dopo l’asserito riconoscimento davanti ai pm. Quando questi lasciarono la sua stanza d’ospedale, infatti, entrava il suo avvocato Manuel Gabrielli e Frigerio non sapeva dire niente dell’aggressore. Di Olindo non c’era traccia. Anche questo audio non entrò mai nei processi.
Cos’altro ti ha spinto a credere che Olindo e Rosa potessero essere innocenti?
Il fatto che non vi era alcuna prova della loro colpevolezza: non c’erano loro tracce sulla scena del crimine e non c’erano tracce delle vittime in casa loro. La macchia sull’auto non l’aveva vista nessuno, se non il brigadiere che asseriva di averla repertata. Le confessioni erano totalmente sballate: e questo nonostante a lei fossero state ripetute tutte le dichiarazioni di lui e ad entrambi fossero state mostrate le foto del massacro. Di questo racconto nel podcast sul canale YouTube di @frontedelblog: i dettagli che “solo” gli assassini potevano conoscere. A partire da come erano vestite le vittime. In quell’appartamento era buio pesto, una sera d’inverno con la corrente staccata. Sarebbe più giusto dire che nemmeno gli assassini potevano raccontare i dettagli: solo chi guardava le foto.
Quanti errori fecero durante la loro “confessione”?
Di Olindo ce n’è uno ogni 30 secondi, praticamente ogni scena descritta. Quelli di Rosa non sono nemmeno calcolabili. Fino alla fine giurò che c’era luce. E chiedeva agli inquirenti se fosse “giusto” ciò che stava confessando.
L’errore più grave che è stato commesso? Sia durante le indagini che nel corso del processo.
La scomparsa di una miriade di intercettazioni, le leggende entrate in sentenza, la repertazione della macchia sull’auto, l’aver trascurato piste alternative. Nel processo, non aver riaperto il dibattimento una volta appurato che l’audio del testimone andato in aula a Como era stato modificato con un software.
La macchia di sangue sull’auto di Olindo Romano c’era veramente?
Anche questo è argomento del podcast. Di certo il brigadiere che la repertò disse che era una macchia lavata. Mentre chi l’analizzò che era tutt’altro: densa e che aveva subito pochi passaggi. Come fa ad essere la stessa?
E l’impronta palmare che ancora non si sa a chi appartenga?
È la 2D della relazione del Ris. Utilità dattiloscopica. Non è né delle vittime, né di Olindo e Rosa, né di tutti quelli che intervennero nel palazzo. Lo scriviamo dal 2007.
Dove pensi che andrebbero cercati i colpevoli?
Bisogna ripartire dalle carte dell’epoca. E non solo da quelle del processo sulla strage. Ce ne sono altre, forse altrettanto utili, nel processo al gruppo di spacciatori che fu arrestato insieme ad Azouz (marito di Raffaella Castagna e padre di Youssef n.d.r) e che all’epoca della mattanza era monitorato dalla guardia di finanza. Mi riferisco alle intercettazioni. Le difese non le hanno mai potute avere. Ma non solo le difese di Olindo e Rosa. Uno spacciatore condannato in quel processo per droga, le ha chieste, ma non gliele hanno date.
Anche sui racconti forniti dalla famiglia di Raffaella Castagna ci sono diverse incongruenze e mancanze.
Su queste ho sempre scritto che il problema non è il loro, ma il fatto che i carabinieri non abbiano mai detto nulla in merito, nonostante avessero ammesso di aver intrapreso anche la pista famigliare: il segnale che in realtà le indagini furono svolte a senso unico su Olindo e Rosa. D’altra parte, nemmeno gli oggetti sequestrati ai tunisini di Merone furono mai analizzati dai Ris. E mai è stata realmente approfondita la vendetta trasversale.
L’ipotesi che ritieni più plausibile?
Non ho una risposta. Spero solo che i giudici, stavolta davvero, leggano gli atti.
Come ti fa sentire la possibilità di un finale diverso per Olindo e Rosa?
Aspetto. Vedo che intanto vari giornali hanno ricominciato a scrivere leggende. Il più importante quotidiano italiano ha pubblicato una nuova bufala: ovvero che sul contatore di casa Castagna-Marzouk fossero state trovate le impronte di Olindo. Balle. Ho pubblicato sul mio sito frontedelblog.it il verbale che lo smentisce. Ma il mio è un sito piccolo. Quel quotidiano orienta l’opinione pubblica.
Ci racconti del tuo podcast “Il grande abbaglio?”
Prende il nome dal libro che io e Felice Manti pubblicammo nel 2008 e che fu attaccato dal pm Massimo Astori durante la requisitoria al processo di Como. Abbiamo voluto utilizzare una piattaforma grande come YouTube per far vedere le nuove prove e far sentire gli audio del testimone mai entrati nei processi. Mostrare i documenti mai visti che smentivano le leggende in sentenza, a partire dalle intercettazioni di Olindo e Rosa in casa. E far ascoltare, a chi voglia, quelle confessioni che ancora tanti oggi si ostinano a definire dettagliatissime, semplicemente perché non le hanno mai ascoltate o confrontate con gli atti. Ovvero la gran parte dei giornalisti. A breve usciremo con un nuovo libro. Racconteremo cosa accadde ai processi e quali documenti davvero vi entrarono, perché ancora adesso mi pare ci sia molta confusione.