Il caso della ristoratrice Giovanna Pedretti, morta domenica 14 gennaio dopo la gogna mediatica seguita a un presunto falso post che la donna avrebbe postato per mostrare la sua risposta a una recensione considerata abilista e omofoba, arriva alla Procura di Lodi, che ha scelto di aprire un fascicolo per istigazione al suicidio contro ignoti. Per ora, infatti, sembra si sia configurato un caso di suicidio la cui colpa potrebbe essere stabilita a partire proprio dalla campagna di odio nei confronti della donna. Nel frattempo, la figlia della proprietaria della pizzeria “Le Vignole” punta il dito contro Selvaggia Lucarelli, che insieme al compagno Lorenzo Biagiarelli avrebbero “smascherato” la finta risposta di Giovanna. Un episodio di “debunking” che, tuttavia, sembra aver generato varie critiche a seguito della morte della Pedretti. Ma il fascicolo della Procura e l’accusa di istigazione al suicidio potrebbe finire per riguardare anche i due personaggi televisivi? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Morgese, avvocato penalista del Foro di Milano, che si ha spiegato tutti gli scenari che questa accusa può generare.
Avvocato Morgese, come giudica il ruolo dei media nella vicenda di Giovanna Pedretti?
La vicenda della morte di Giovanna Pedretti ha posto nuovamente l’attenzione sul fenomeno dell’incitamento all’odio online, sempre più diffuso in un’epoca profondamente segnata dalle comunicazioni sui social network. Epoca in cui le dichiarazioni rese (spesso in forma anonima) sulle più note piattaforme social rischiano di avere importanti ripercussioni sulla qualità della convivenza civile. Ciò è stato peraltro rilevato anche dal Senato della Repubblica, nell’ambito di un’analisi comparativa sul fenomeno dell’istigazione all’odio online del luglio 2022.
Forse c’è bisogno di un maggiore senso di responsabilità?
I media (tutti, indistintamente) giocano un ruolo fondamentale nella veicolazione delle informazioni all’opinione pubblica. Questo non soltanto per non alimentare la “gogna social” nei confronti del malcapitato del momento (che potrebbe non avere gli strumenti per reggere una certa ribalta mediatica), ma anche per scoraggiare l’inguaribile voglia italiana di individuare a tutti costi un colpevole. È esattamente quanto accaduto nella vicenda della ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano. Se quella recensione fosse stata verificata da parte dei media prima di essere diffusa su tutti i quotidiani nazionali e richiamata da tutti i principali programmi televisivi, quel drammatico evento forse non sarebbe accaduto (il condizionale è d’obbligo). Probabilmente oggi nessuno starebbe più commentando il contenuto di quella (vera o falsa che fosse) recensione.
Le cose, però, sono andate diversamente…
Ciò che è accaduto è che agli elogi che avevano immediatamente accompagnato la pubblicazione di quella recensione (e la pronta risposta della ristoratrice) è presto subentrato lo sdegno (in certi casi, addirittura l’odio) nei confronti di una persona che, a tutto voler concedere (e sempre che le indagini confermino la tesi della non autenticità della recensione), avrebbe commesso una leggerezza. Un’ingenuità da cui si sarebbe ragionevolmente ben guardata se solo avesse potuto prevedere la campagna mediatica che ne sarebbe conseguita.
Campagna mediatica che sembrava, peraltro, aver già portato a trovare persino il capo di imputazione…
Prima ancora che gli inquirenti aprissero un procedimento per fare luce sulla morte della ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano, i media avevano già consegnato all’opinione pubblica non soltanto l’ipotesi di reato (istigazione al suicidio, delitto previsto e punito dall’art. 580 c.p.) ma finanche i nomi dei possibili responsabili, così da assecondare il morboso desiderio di trovare il responsabile e, forse, di inseguire qualche like. Il copione è lo stesso di molti altri casi di cronaca.
Giornalisti che vogliono fare i magistrati?
L’iscrizione della notizia di reato è atto di esclusiva competenza del magistrato del Pubblico Ministero, quale titolare del monopolio dell’azione penale: l’art. 109 disp. att. c.p.p. (Codice di Procedura Penale) prevede, infatti, che la segreteria della Procura della Repubblica annota sugli atti che possono contenere notizie di reato la data e l’ora in cui sono pervenuti in ufficio e li sottopone al Procuratore della Repubblica per l’eventuale iscrizione nel registro delle notizie di reato.
Come stanno ora le cose?
Stando alle recenti notizie di stampa, la Procura della Repubblica di Lodi ha aperto un procedimento penale contro ignoti per il reato di istigazione al suicidio: il procedimento risulterebbe iscritto a modello 44, cioè nel registro delle annotazioni e denunce che riportano notizie di reato, per le quali però non sono stati ancora acquisiti elementi sufficienti ad individuare il possibile autore. A scanso di equivoci, è bene ricordare come l’iscrizione del procedimento rappresenti in ogni caso un atto dovuto, anche per procedere agli accertamenti tecnici non ripetibili previsti dall’art. 360 del Codice di Procedura Penale (su tutti i già annunciati accertamenti autoptici).
Che reato è quello di istigazione al suicidio? Che pene prevede?
Il delitto previsto dall’art. 580 c.p. punisce con la reclusione da cinque a dodici anni “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione”. La norma punisce le condotte di partecipazione psichica e di partecipazione materiale al suicidio. Deve trattarsi, in altri termini, di condotte volte alla determinazione (intesa come pressione psichica diretta a far sorgere in altri un proponimento prima inesistente) o al rafforzamento (inteso come pressione psichica volta a rendere definitivo il proposito già sorto nel soggetto che vuole darsi la morte) di una volontà suicidaria ovvero di condotte che hanno materialmente agevolato il suicidio della vittima.
Secondo lei questo tipo di reato sussiste in questo caso?
Nell’attesa che gli inquirenti facciano luce sulle cause e sulla dinamica del decesso di Giovanna Pedretti, mi pare che nella vicenda in esame (e salvo che emergano elementi che possano far propendere per una conclusione differente) difficilmente potrebbe dirsi integrata la fattispecie di istigazione al suicidio nei confronti dei soggetti che hanno per primi messo in dubbio l’autenticità di quella recensione o dei giornalisti che hanno ricostruito la vicenda, anche raccogliendo la versione della donna. Si tratta di condotte punite a titolo di dolo: ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 580 cod. pen., occorre cioè sia la dimostrazione dell'obiettivo contributo all'azione altrui di suicidio, sia la prefigurazione dell'evento come dipendente dalla propria condotta. La Procura della Repubblica svolgerà le indagini preliminari all’esito delle quali valuterà se archiviare il procedimento o se, invece, previa individuazione degli autori del fatto e raccolti elementi di prova a sostegno dell’accusa, esercitare l’azione penale.