"Sono scettico sul ruolo che l'Occidente sta giocando. Siamo pronti a combattere, ma fino all'ultimo ucraino. È in gioco la democrazia, è in gioco l'Occidente, si mettono tutti l'elmetto però, poi, marcano visita al momento di andarci per davvero… in guerra”. Così Toni Capuozzo ha spiegato su quali basi è nato il suono nuovo libro, da “Giorni di guerra. Russia e Ucraina, il mondo a pezzi” (Signs Publishing) che uscirà il 28 aprile. Un vero e proprio diario di guerra — suddiviso per giorni — fatto di appunti, riflessioni pubblicate sui social, interventi televisivi. Un volume impreziosito da numerose illustrazioni e da una lunga galleria di fotografie di grandi reporter italiani dal fronte: Fausto Biloslavo, Gabriele Micalizzi, Francesco Semprini, Vittorio Nicola Rangeloni. “Non esistono guerre chirurgiche, né bombardamenti intelligenti” - ha premesso Capuozzo — “ci sono sempre colpe da distribuire: Putin, la sua politica di potenza, l'ordine di invasione. Biden, la sfida di una NATO senza confini. Il premier ucraino che si è fatto spingere nella sfida - vai avanti tu - senza valutare che, forse, per l'Ucraina libera era meglio essere una terra di nessuno o dei soli ucraini, scambi e commerci piuttosto che missili. Nessuno è completamente innocente, se non i civili". Di seguito un estratto in anteprima per MOW.
Giorni di guerra. Russia e Ucraina, il mondo a pezzi
Basterebbe questa immagine per dire basta. Un figlio piegato accanto alla madre, coperta da un lenzuolo bianco arrossato di sangue. Nessun fotografo, nessun cameraman, nessun giornalista ha avuto la sfrontatezza di interrompere quel silenzio, o la pazienza di aspettare, così non sappiamo chi fosse quella donna, né come si chiamasse; la guerra va di fretta. Ci sono altre persone che attendono, vivono, sopravvivono, e sono i morti di domani che aspettano di essere parte delle notizie, senza saperlo. Però basta la felpa del figlio a immaginare una madre ancora non troppo anziana, e non devono essere passati tantissimi anni da quando era lei a rimboccare le coperte a lui: il lenzuolo bianco non lascia scoperto neppure un piede, né una mano. Non fosse successo tutto il resto, non fossero morte migliaia di persone, basterebbe questa immagine a dire che è troppo, che non ne valeva la pena.
Vale, il timore di essere circondato dalla NATO, questa vita di madre sull’asfalto? Vale, il diritto di scegliersi le alleanze che vuoi, questa vita di madre sull’asfalto? La guerra va di fretta, ma ogni singolo atto è irreparabile. Potrai ricostruire case e teatri, ponti e ospedali. Ma le vite no. Io sono un padre e, dunque, non mi intendo di maternità. In questi giorni di guerra penso da padre, guardando il mio figlio maschio che non dovrà imparare a sparare, e mio genero medico che non deve curare feriti di guerra. Ma di tutte le vittime della galleria degli eroi ucraini, l’unica che mi ha colpito è una madre, una dottoressa che aveva sei figli suoi e sei figli adottati — così che era già stata definita, per virtù demografiche, “eroina dell’Ucraina” — e quando è morta ha lasciato una frotta di orfani. Non lo so quanto la guerra sia maschile e, del resto, non mancano donne che vanno oltre il ruolo di crocerossine o vivandiere, ma so che la parola “madre”, quella stride con la parola "guerra".
Lo so dai racconti di guerra di mia madre, lo so da quando a scuola mi raccontavano di Maria Bergamas, la madre del soldato ignoto. Lo so da quando a Baghdad andavo a parlare con qualche imam alla Moschea di Umm al Marik, la "madre di tutte le battaglie", come l’aveva chiamata Saddam, ignorando che le madri odiano le battaglie. Non riesco a non immaginare, quando sento di più di ventimila soldati russi morti, ventimila madri che mi sembrano tutte babushke uscite dai film in bianco e nero, sulla soglia di una casa di campagna. (…) Non so cosa abbia perso il figlio di questa madre sull’asfalto di Kiev. Si è perso, forse, quelle preoccupazioni per una madre che invecchia, quelle raccomandazioni che prima faceva lei a te e ora fai tu a lei, si è perso l’orgoglio di farla diventare nonna, o forse già lo era, chi lo sa, che sciupio di vite. So che è irreparabile, che un vuoto resterà come un tatuaggio invisibile a ogni compleanno mancato, a ogni Natale ortodosso o cattolico o della Coca Cola, a ogni festa della donna o della madre, a ogni momento qualunque, chiamatela pure pace, ma non sarà mai più la stessa cosa.
(da “Giorni di guerra. Russia e Ucraina, il mondo a pezzi” – Signs Publishing)