I colloqui e la minaccia nucleare, i negoziati e le bombe a poca distanza. Questo è la guerra con i suoi paradossi, paradossi che sono tali soprattutto per un Occidente “che la guerra non la conosce, non è abituato a percepirla come reale e si accorge solo ora di cosa si tratti”. Domenico Quirico, inviato di guerra de La Stampa, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia l’aveva in qualche modo preconizzata dopo la fuga degli Stati Uniti dall’Afghanistan, ed è a lui che abbiamo chiesto alcune chiavi di lettura del conflitto attuale. Un conflitto riguardo al quale proprio oggi, dopo il discorso con cui Draghi al Parlamento ha annunciato tra le altre cose che l'Italia invierà armi all'Ucraina, ha dichiarato: "Siamo già in guerra con la Russia, diciamocelo chiaramente. Non abbiamo mandato i soldati e cacciabombardieri, però..."
Quirico, come possiamo leggere i colloqui fra Russia e Ucraina?
Devo dire che il negoziato mi ha colpito favorevolmente. Le parti si sono incontrate con delegazioni di alto livello, mi ha stupito che gli ucraini abbiano accettato quale sede un luogo tutt’altro che scontato come la Bielorussia e che le parti sia siano date appuntamento per nuovi negoziati: al di là delle minacce, delle accuse e della propaganda di guerra, ciò che è accaduto nella regione di Gomel mi fa pensare che i rapporti non si siano in realtà mai interrotti. C’è da augurarsi che non ci si fermi ai titoli e alla propaganda, ma ci siano conseguenze pratiche.
La Russia ha inoltrato le proprie condizioni e ha ripreso a bombardare.
In questo non c’è nulla di stupefacente: è la guerra, per arrivare in condizioni più forti al negoziato bisogna avere un vantaggio sul terreno e l’offensiva deve essere più serrata per ottenere risultati che ancora la Russia non ha. Però evidentemente qualcosa ci è sfuggito: o la condizione militare ucraina è peggiore di quella che descriviamo, oppure la necessità è quella di non spezzare mai il dialogo.
A proposito: quali sono le condizioni dei due eserciti?
Quando vidi in azione l’esercito ucraino nel Donbass nel 2014 si trattava di una forza male organizzata e poco motivata, formata davvero da poveracci mandati al fronte. Rispetto ad allora gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno gonfiato l’esercito ucraino di armamenti: non credo che i russi siano stati colti di sorpresa, ma gli ucraini stanno resistendo più di quanto ci si potesse immaginare.
E l’esercito russo?
Sotto Putin l’esercito è stato completamente riequipaggiato e dispone di armamenti di ultima generazione, sugli standard dell’esercito americano: avionica, missili, artiglieria, l’armamento individuale hi-tech dei soldati. Uno magari può essere tratto in inganno dalle immagini dei carri armati, che sono un po’ vecchiotti, ma credo che quelli più recenti non vengano usati in Ucraina.
Come va interpretata la minaccia nucleare?
Mi è parso un espediente comunicativo per ricordare all'altra parte che i russi l’arsenale atomico ce l'hanno in buono stato e che quindi, nelle eventuali contromosse dell’Occidente o degli Stati Uniti, non bisogna dimenticare che la guerra nucleare è possibile.
Eppure pareva solo uno scenario da romanzo apocalittico.
Negli ultimi anni abbiamo narcotizzato l’idea di una guerra nucleare, ma non è che la minaccia sia stata cancellata col disarmo, niente affatto. Semplicemente abbiamo fatto finta che non esistesse più perché il ruolo della Russia per un lungo periodo è stato quello di un oggetto della politica internazionale, non di un soggetto, e soltanto ora capiamo che è in grado di fare la voce grossa, di aggredire, di minacciare. Il problema è, credo, nell'ipotesi in cui la Russia si trovi invischiata in guerra che non riesce a vincere, che causi grandi perdite e determini un movimento tale per cui Putin non senta il pericolo il suo potere e in quel caso, per un terrificante automatismo che condurrebbe nel precipizio, non si senta indotto a salire di grado rispetto alle azioni condotte sinora. Sarebbe molto pericoloso.
Il punto di non ritorno.
Una volta innescato il procedimento, soprattutto in regimi autocratici dove la decisione viene presa da poche persone, la possibilità che venga commesso un errore senza ritorno c'è. In ogni caso la guerra nucleare è una guerra in cui decidono due persone: i meccanismi di interdizione sono inesistenti perché c’è una rapidità di attacco-risposta che impedisce ogni forma di ripensamento, al contrario di una guerra tradizionale nella quale ci sono passaggi intermedi obbligatori che possono determinare un raffreddamento. Nella guerra atomica non c’è questa possibilità.
Scongiurando lo scenario catastrofico, che ruolo futuro ci si può attendere dall’Ucraina?
La volontà esplicita di Putin è quella di una neutralizzazione dell’Ucraina, che equivarrebbe a farne una sorta di Finlandia prima della Guerra fredda, quando era un Paese era totalmente indipendente per regime politico e sociale ma aveva una serie di linee invalicabili in politica estera. Erano i suoi limiti: non poteva passare dalla parte della Nato né prendere decisioni che potessero creare problemi a Russia: il presidente di quella Finlandia, Kekkonen, non era un proconsole russo, ma era colui che doveva garantire quel tipo di pavlovismo politico. Ma la Finlandia ha largamente approfittato di questo: ha fatto affari d’oro nel periodo di questa sovranità limitata. Si è sganciata da questa obbligatorietà implicita solo con la disgregazione dell’Unione Sovietica.
Qual è il ruolo dell’Unione Europea nel conflitto?
Leggo e sento che questo viene celebrato come uno dei momenti di maggiore unità per l’Europa, che addirittura la decisione di mandare armi agli ucraini viene considerata da molti un atto di un'audacia straordinaria che cambia carte in tavola. Io sarei molto più cauto: in realtà prima dell'attacco russo ogni governo europeo andava per i fatti suoi. Macron sino all’ultimo ha tentato di tenere aperto un filo di negoziato con Putin, la Germania si preoccupava del suo gas, l’Italia era filoamericana a prescindere. Proprio una vicenda come questa renderà l’Europa sempre più legata a filo doppio agli americani: ho notato in queste settimane un progressivo sovrapporsi della Nato all'Europa, ed è abbastanza paradossale perché Europa nascerebbe come spazio di pace, tanto è vero che non è mai riuscita a costruirsi un esercito. E non ci riuscirà mai. Questo dimostra i limiti dell’integrazione. Tra i punti a proprio favore che gli Stati Uniti stanno ottenendo in questa vicenda tragica e pericolosa c’è proprio quello di avere di nuovo messo in riga gli europei.
I racconti dei media insistono sugli attacchi informatici e sui loro risultati. Quanto incidono a suo parere?
Nell'immaginario collettivo credo tantissimo, perché mi sembra che la gente presti molta attenzione a questi aspetti, ma sul piano pratico zero. La guerra le fanno gli eserciti, le bombe, i missili, gli aeroplani: nessuno ha mai vinto una guerra paralizzando i centri informatici dell’avversario, l’idea che si possano vincere le guerre così è di un cretinismo assurdo, come se non fossero previste alternative. La verità è che noi viviamo a Hollywood, non viviamo nella realtà: il mondo occidentale vive nella realtà di Amazon, una realtà che non c’è, che cita film e romanzi e la guerra vera la vede solo adesso perché è vicina, senza rendersi conto che decine di milioni di persone vivono la guerra, quella vera e di massa, ogni giorno.