Roberto Saviano ha due parole d’ordine: mafia e censura. Visto che di mafia forse non voleva parlare, ha pensato di associare Sanremo alla censura. Lo fa a mo’ di supercazzola chiaramente, quindi titolando il reel sui social “Sanremo e censura” ma precisando che di censura non si può parlare, semplicemente di armi di distrazione di massa, un festival del gossip per dire, all’acqua di rose. Un Sanremo sovranista quindi, che mira a tenere buona la massa senza creare polemiche. Di che è fatto questo Festival? Di almeno tre cose: “Primo, la dichiarazione che viene fatta da Carlo Conti: non ci saranno temi come immigrazione e guerra, no macromondo ma micromondo. Be’, ma in realtà Sanremo è sempre stato sulle emozioni, l’amore, l’intimità e i tradimenti, è sempre andata così; allora a cosa voleva fare riferimento? All’amore come intrattenimento, come un gioco, un sentimento che non indulge troppo sulle cose. Mentre invece amore, intimità, non significano affatto remissività, tutt’altro. E quindi questo dettaglio significa: non si parla di nessun tema politico che può dividere. Secondo elemento sovranista: no monologhi. I monologhi significa già scegliere e prendersi la responsabilità su un punto di vista. È un modo furbo per dire che non si vuole scegliere da che punto di vista approfondire. Terzo: la non divisità. Ma cosa porta? Che non esistano polemiche sul cachet. Che sia alto, medio o basso, nel momento in cui l’Italia è in ginocchio qualsiasi pagamento venuto dallo Stato verrebbe visto come improprio ed esagerato. Non c’è dibattito su questo perché il dibattito non è mai sulle risorse, ma solo se hai preso una posizione”.

Che Sanremo si sia sempre occupato di sentimenti è più o meno vero, che quest’anno Sanremo stia puntando tutto su un’idea di romanticismo come intrattenimento, sentimenti da letteratura rosa e al massimo un po’ di gossip, è banale. Se Conti ha davvero puntato su questo ha fatto bene, visto che il Festival di Sanremo è uno spettacolo musicale pagato dai contribuenti di qualsiasi area politica, anche quella che non piace a Roberto Saviano. Questo significa evitare, il più possibile carognate verso parte degli “abbonati” (altro non è, il canone, che un abbonamento obbligatorio, una sorta di estorsione). Siamo abbastanza convinti che a Saviano non dia fastidio il fatto che Conti abbia preferito non scegliere dei monologhi per evitare di doversi “prendere la responsabilità su un punto di vista”. Se Conti avesse optato per un monologo in stile Roccella sulla maternità difficile credere che Saviano avrebbe ammirato comunque la partigianeria del direttore artistico. Quel che a Saviano brucia è che non sia stata scelta la sua parte politica, quella che quel palco lo ha calcato negli ultimi anni e variamente grazie a scene deprimenti e d’avanspettacolo, slogan per épater le bourgeois, come quello invecchiato malissimo di Chiara Ferragni. Se avessero invitato lui sarebbe stato contento, ma evidentemente, visto il calo degli ascolti con la sua sola presenza in Rai, forse si è preferito puntare a Bianca Balti e Nino Frassica. Certo, che quella di Conti sia in fondo una scelta politica è comunque chiarissimo e almeno su questo Saviano ha ragione. Una scelta politica nazionalpopolare e democratica, di senso comune, che non intristisce, che non appesantisce, che non ammorba
