Ci sono momenti nella storia in cui il destino si decide nel giro di pochi attimi. L’Europa si trova oggi su uno di quei crinali scivolosi e pericolosi, sospesa tra la possibilità di un risveglio tempestivo e il rischio di svegliarsi fracassata nel fondo del burrone. Ma se il Vecchio Continente ha una possibilità di salvarsi, non sarà certo con questa classe dirigente, che sembra più incline a seguire il flusso degli eventi piuttosto che guidarlo.
Realpolitik contro il sogno europeo
Partiamo dai fatti. Mentre Stati Uniti, Cina e Russia giocano la partita del potere con le regole della realpolitik – difendendo i propri interessi con mezzi economici, diplomatici e militari – l’Unione Europea si ostina a seguire un copione diverso, anacronistico e autolesionista. Priva di una visione strategica comune, l’Ue si muove come un’entità fragile e divisa, incastrata fra la sudditanza atlantica, l’incapacità di imporsi sulla scena globale e le lotte intestine tra gli Stati membri.
Non è difficile capire perché. La diversità delle nazioni europee, sebbene sia una ricchezza culturale, diventa un freno quando si tratta di definire un interesse comune che vada oltre l’Erasmus. Così, mentre Washington impone tariffe punitive e Pechino conquista fette di mercato con una politica economica aggressiva – entrambe con una visione e un piano ben preciso – Bruxelles si accontenta di navigare a vista con risoluzioni, dichiarazioni e vertici inconcludenti.
Lo vedemmo già nel 2018, quando Trump impose dazi. Perché Trump lo aveva già fatto, per chi avesse memoria corta. La risposta dell'UE già allora fu lenta e inefficace. Oggi sembra ancora più legata all’emergenza, invece che a un piano a lungo termine. Allo stesso modo nei confronti della Cina, per esempio il colosso cinese Huawei è riuscito a infiltrarsi nelle infrastrutture tecnologiche europee senza che Bruxelles avesse un piano unitario per difendere la propria sovranità digitale.
L’autolesionismo europeo
Gli ultimi anni hanno visto l’Europa gettarsi a capofitto in scelte che rasentano il suicidio economico e strategico. Senza entrare in analisi di altro tipo, è un fatto che le sanzioni contro la Russia, al di là delle dichiarazioni propagandistiche, si sono dimostrate inefficaci nel fermare il Cremlino, ma devastanti per l’industria europea. Nel 2022, la chiusura dei gasdotti russi ha portato a un aumento del costo dell’energia del 300% in alcuni settori industriali, mettendo in ginocchio aziende dalla Germania all'Italia.
Il paradosso è che l’Ue non sembra nemmeno più capace di comprendere dove finiscano gli interessi dei suoi cittadini e dove inizino quelli degli altri. Nel 2023, mentre l’avanzare del cosiddetto “Green Deal” imposto dalla Commissione Europea strangolava l'agricoltura con normative sempre più stringenti, la stessa UE autorizzava l'importazione senza dazi di prodotti agricoli dall’Ucraina, portando i contadini francesi, polacchi e italiani a scendere in piazza in protesta. E nel frattempo l’incontrollata erogazione di miliardi per mantenere in piedi l’Ucraina ha contribuito a mettere a dura prova le economie nazionali.

Quando l’Europa smette di difendere se stessa
L’Europa, invece di costruire il proprio futuro, sembra definire sé stessa solo in opposizione a qualcun altro. Contro Putin, contro Trump, contro le multinazionali cinesi. Ma non è così che si costruisce una potenza.
La storia ci insegna che le grandi nazioni, i grandi imperi, le superpotenze, hanno sì sempre nemici che alimentano competizione, ma non nascono dall’odio per il nemico, ma dalla capacità di definire e difendere un’identità propria. L’Impero Romano non si è costruito sulla base di chi fosse il suo avversario, ma su un’idea chiara di civiltà, ordine e progresso. Lo stesso vale per gli Stati Uniti, che, piaccia o meno, hanno sempre avuto una narrazione chiara della loro missione nel mondo.
L’Ue, al contrario, sembra più preoccupata di assecondare il moralismo globalista e di non scontentare nessuno, piuttosto che di creare una visione di lungo termine. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: un continente incapace di difendersi, di innovare, di competere.
La resa dell’Europa, affogata nell’inerzia e nella codardia
Negli ultimi anni l’Ue ha fallito su tutta la linea nel rispondere alle grandi sfide globali. Ha subito i dazi di Trump senza una reazione adeguata, ha visto la Cina erodere la sua supremazia industriale senza opporre una strategia coerente, ha permesso alla Russia di giocare con le forniture energetiche senza predisporre alternative reali.
Nel 2024, il tentativo dell’Ue di vietare le auto a combustione entro il 2035 ha generato una reazione a catena tra le aziende automobilistiche, con la Germania che ha chiesto deroghe e alcuni stati membri che si sono ribellati a un piano considerato economicamente insostenibile. Bruxelles ha così dimostrato ancora una volta la propria incapacità di far rispettare le sue stesse decisioni.
E se il fallimento politico ha una colpa principale, questa ricade sulla classe dirigente europea, sempre più simile a un’aristocrazia burocratica scollegata dalla realtà. Mentre la popolazione soffre per il caro energia, l’inflazione e la perdita di competitività, i leader europei si rifugiano nei palazzi del potere, incapaci di ascoltare il malcontento che cresce nelle piazze.
Il risveglio è possibile, ma non con questi leader
Se l’Europa vuole salvarsi, deve svegliarsi subito. Ma la favola ci insegna che non è la strega a risvegliare Biancaneve, il risveglio non può essere costruito da chi ha causato il sonno. Serve invece un principe. Non si deve essere necessariamente monarchici per questo, anche se non è detto che guasterebbe. Servono leader coraggiosi, capaci di ribaltare le politiche suicide e ridare centralità all’interesse europeo, che va ricostruito su nuove - o vecchie - basi. Servono politiche industriali forti, una strategia energetica indipendente, un piano di difesa che non sia risultato dei capricci statunitensi.
Soprattutto, serve una classe dirigente che smetta di parlare il linguaggio del compromesso al ribasso e torni a usare quello della forza, dell’ambizione e dell’orgoglio di essere il continente che ha dominato la storia.
Il tempo sta scadendo. L’Europa può ancora svegliarsi, ma deve farlo con la consapevolezza che con questi leader il coma è garantito. E, se non cambia rotta in fretta, il risveglio potrebbe arrivare troppo tardi.
