«Ho fatto della nudità il mio lavoro, ma non ho mai dato il consenso perché quel materiale potesse diventare di proprietà di chiunque ed essere diffuso anche sui siti por*o». Silvia Gallerano, attrice e drammaturga, è la prima interprete italiana ad aver vinto, con lo spettacolo La Merda, il più alto riconoscimento all’Edinburgh Festival Fringe. Ma si è trovata a dover affrontare alcune conseguenze indesiderate, come la diffusione non autorizzata dei suoi video di scena su piattaforme per adulti. Già nel 2020, insieme ad altre colleghe e con il supporto dell’associazione Amleta, aveva denunciato il furto di materiale: clip di spettacoli teatrali in cui apparivano nudi scenici, estrapolati dal contesto artistico e ripubblicati su siti come Pornhub e AzNude.
«Proprio per la natura dello spettacolo, in cui sono integralmente nuda, ho pubblicato video in cui la nudità era presente ma non troppo. Per cui io quel materiale lo rivendico», spiega. «Ma per altre attrici è stato diverso. A volte, per esempio, le loro scene di nudo sono state caricate dal regista sul sito del teatro senza il loro consenso». Il punto centrale è giuridico: la diffusione di immagini intime senza autorizzazione. In Italia esiste dal 2019 l’articolo 612-ter del Codice penale, introdotto con la cosiddetta “legge sul revenge porn”, che punisce la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti. La norma, però, si applica solo se il materiale è stato originariamente destinato a rimanere privato. Nel caso di Gallerano e delle altre attrici, le immagini erano parte di spettacoli pubblici e quindi già accessibili.

È proprio questa sottile differenza che ha bloccato la denuncia. «C'è stata difficoltà a procedere, nonostante Amleta e i loro contatti con le avvocate», racconta l’attrice. «Io non ho mai scritto al singolo sito per chiedere la rimozione dei video, ho lasciato che si muovesse la giustizia. L'Associazione ha provato a chiedere il sequestro dei siti; ma a causa del fatto che le immagini erano già state caricate sulla rete, è stato presupposto in automatico il nostro consenso alla nudità. E quindi non si è potuto procedere». Gli esperti sottolineano che qui emerge una lacuna normativa: la nudità scenica non è pornografia, e la sua ripubblicazione su piattaforme pornografiche costituisce un uso decontestualizzato e potenzialmente diffamatorio. Tuttavia, il confine tra libertà artistica e disponibilità delle immagini in rete resta giuridicamente incerto. Il materiale rubato circola ancora oggi. «Su diversi canali. Tutti i video per cui siamo state coinvolte sembrano postati inizialmente dalla stessa persona, ma poi sono diventati virali», spiega Gallerano. «Un paio d'anni fa per curiosità ho provato a fare una ricerca digitando "Silvia Gallerano por*o": era ancora presente, anche su Por*Hub».
L’attrice non ha nascosto la vicenda, anzi ha scelto di parlarne pubblicamente: «Avendo fatto della nudità un lavoro, non ho avuto bisogno di restare anonima; anzi, ho denunciato subito il fatto pubblicamente, con il mio nome». Ma questo non ha reso la situazione meno dolorosa. «Da anni lotto contro la censura dei social media: sostengono che le immagini di promozione dello spettacolo siano pornografiche solo perché è presente del nudo. Ho avuto account cancellati, sono stata accusata di pornografia, bannata da Facebook. E poi scopri che quella stessa immagine è presente su un sito porno, ma senza il tuo consenso. Non è piacevole». Al danno, si è aggiunta l’umiliazione: «Nel mio caso, per esempio, si leggeva: "Ah, le tette le reggono ma non ancora per tanto"». Il caso di Silvia Gallerano e delle sue colleghe mostra come la legge italiana non sia ancora attrezzata per affrontare pienamente i furti digitali che colpiscono il mondo dello spettacolo. Il consenso alla nudità sul palcoscenico non equivale al consenso alla sua circolazione incontrollata su internet, tanto meno su siti pornografici.
A livello europeo, il Digital Services Act (DSA) — entrato in vigore nel 2024 — stabilisce obblighi più stringenti per le piattaforme online. Tra questi, la rimozione rapida dei contenuti illegali dopo la segnalazione e una maggiore responsabilità dei colossi del web per ciò che viene caricato dagli utenti. In teoria, questo nuovo quadro normativo dovrebbe rendere più difficile che materiale decontestualizzato resti online senza possibilità di intervento. Tuttavia, il DSA lascia ancora zone grigie: le piattaforme non sono chiamate a giudicare il contesto artistico o culturale delle immagini. Così, un nudo teatrale può continuare a essere trattato alla stregua di un contenuto pornografico, con conseguenze dannose per gli artisti. L’attrice continua a rivendicare il diritto al controllo delle proprie immagini, e la vicenda resta un precedente che interroga non solo il diritto, ma anche il rapporto tra arte, corpo e mercato digitale.
