C’è un rumore che non si sente ma che rimbomba nelle istituzioni europee. Non è il brusio delle piazze né il dibattito acceso dei parlamenti nazionali. È il silenzio ovattato dei corridoi di Bruxelles, dove la Commissione Europea prepara il Quadro Finanziario Pluriennale 2028–2034, un documento tecnico solo in apparenza. In realtà è la bussola che stabilirà chi avrà risorse e chi resterà a mani vuote fino al 2035. Un destino tracciato senza che i cittadini abbiano voce.
La favola dei fondi che spariscono
Il piano presentato dalla Commissione e pubblicato sui siti istituzionali mostra un’Europa che sembra dimenticare i suoi principi fondativi. I fondi di coesione, che servivano a ridurre le disparità tra regioni, calano in termini reali. Gli aiuti all’agricoltura, già sotto pressione per i costi crescenti e le regole ambientali più severe, non tengono il passo con l’inflazione. Chi subisce di più questa contrazione? Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, il Sud Italia, le campagne di Spagna e Portogallo, le zone rurali di Irlanda e Paesi Baltici. Sono le periferie, i margini dell’Unione, quelle terre che avrebbero più bisogno di sostegno per non scivolare nella marginalità definitiva. Mentre i rubinetti si chiudono per loro, si aprono invece per altri. La Commissione prevede 50 miliardi di euro aggiuntivi tra il 2024 e il 2027 per l’Ucraina, attraverso lo strumento chiamato Ukraine Facility. Obiettivo dichiarato: sostenere un Paese aggredito. Ma qui emerge l’assurdo. Non ci sono nuove fonti di entrata. Non si parla di tasse sulle transazioni finanziarie, né di emissioni comuni. Quelle risorse saranno sottratte a ciò che già era destinato ai cittadini europei. Non un investimento aggiuntivo, ma un travaso. Una coperta già corta che lascia scoperti i piedi dei popoli europei per coprire le scelte geopolitiche della Commissione.

La democrazia che si fa evanescente
Non è solo questione di numeri. Ciò che conta davvero è il metodo, e il metodo racconta una storia inquietante. La Commissione introduce tre strumenti nuovi e potenti: il Flexibility Instrument, la Solidarity and Emergency Aid Reserve e il Single Margin Instrument. Nomi burocratici, quasi innocui. Dietro, però, si nasconde un accentramento senza precedenti. Questi strumenti consentono alla Commissione di spostare miliardi con rapidità, dichiarando emergenze, senza il passaggio del Consiglio o del Parlamento. La logica è semplice e pericolosa. Se esiste una “crisi”, i fondi possono essere riallocati. Ma che cos’è una crisi? Può esserlo la migrazione, la difesa, l’energia, la politica estera. Termini larghi, indefiniti, manipolabili. Basta un’etichetta e le risorse cambiano destinazione. Così il governo dei popoli si trasforma nel governo delle parole. Dietro queste scelte si cela un deficit democratico profondo. Le decisioni vengono prese nelle stanze dei “tecnici”, lontano dagli occhi dei cittadini. Nessuna consultazione pubblica, nessun vero controllo parlamentare. Molti parlamentari europei stessi denunciano che i fondi vengono distribuiti non sulla base di criteri oggettivi, ma secondo equilibri politici, amicizie e alleanze. Così la fiducia dei popoli si consuma, goccia dopo goccia, in un mare di opacità.
L’ombra lunga sull’economia reale
Le conseguenze non sono astratte. Se i fondi di coesione calano, i divari tra regioni cresceranno. Se gli aiuti all’agricoltura stagnano, i piccoli e medi agricoltori saranno schiacciati dall’aumento dei costi. Se le risorse vengono dirottate su priorità geopolitiche, le aree rurali di Italia, Spagna, Portogallo, i villaggi dell’Est, le province orientali della Germania resteranno sempre più indietro. È il contrario della missione originaria dell’Unione, che voleva ridurre le disuguaglianze e creare equilibrio. Mentre i territori fragili arretrano, prosperano i grandi fondi centralizzati. Piattaforme come lo European Sovereignty Fund o il Strategic Technologies for Europe Platform raccolgono sempre più risorse, ma distribuite in maniera opaca. Chi vince sono i giganti tecnologici e industriali, chi perde sono le comunità locali.
La politica nascosta dietro l’emergenza
C’è un’altra ombra più sottile. La Commissione può dichiarare “crisi” un qualsiasi evento. E in nome dell’urgenza può mobilitare fondi senza dibattito. Un incendio, una ondata migratoria, una tensione internazionale, tutto può essere definito emergenza. Così miliardi vengono spostati senza rendicontazione chiara, senza che i cittadini ne sappiano nulla. La responsabilità politica si dissolve, nessuno risponde davvero delle scelte. Il concetto stesso di democrazia si affievolisce. L’Unione Europea rischia di diventare una macchina che concentra ricchezza e decisioni al centro, lasciando le periferie più povere e senza voce. Non è solo questione di fondi che mancano. È questione di fiducia che muore. Senza trasparenza, senza equilibrio, senza partecipazione dei cittadini, la speranza europea evapora. Il vero pericolo non è che manchino i soldi. Il vero pericolo è che, mentre si spendono dietro porte chiuse, la democrazia stessa venga consumata in silenzio.
