Prima i nemici, perché il loro voto varrà doppio. E’ una vecchia frase di un altrettanto vecchio politico della Democrazia Cristiana che rispondeva esattamente così, “prima i nemici”, quando i suoi galoppini gli facevano notare che sembrava sempre più pronto a dare una mano a quelli di altri partiti piuttosto che a quelli che l’avevano sempre sostenuto e “correvano” per lui on tanto di tessera della DC in tasca. La Prima Repubblica, nel frattempo, è stata spazzata via e ciò che ne è venuto dopo sembra aver buttato via il meglio e conservato il peggio. Viene da dirlo dopo aver letto quanto riportato dal Fatto Quotidiano sulla tempesta tutta interna a Fratelli d’Italia a Prato. Ok, ma che c’entra il vecchio politico della DC con Tommaso Cocci, avvocato trentaquattrenne pratese, che invece la politica la fa adesso e in FdI? C’entra perché quella frase, “prima i nemici”, sembra essersi tramutata in “prima gli amici, perché valgono la metà di un voto”. Solo che quel “prima gli amici”, questa volta, riguarda il farsi male. Il provare a annientarsi. Il togliersi di mezzo perché i seggi sono pochi e le sedie, in Consiglio Regionale in Toscana, non saranno abbastanza per tutti. Soprattutto per tutti i candidati pratesi del partito della premier Meloni. Toccherà sgomitare e la prima gomitata grossa per Tommasi Cocci, che manco a dirlo uno dei candidati, è arrivata dritta sui denti. Lettere minatorie, per la precisione, per invitarlo a lasciare la politica. A farsi da parte. E, per dirla con una battutaccia, a togliersi dai seggioni.

Sì, ci scherziamo sopra, ma la faccenda è grave un bel po’ e pare che da Roma si sia arrabbiata, e non poco, anche Giorgia nazionale, che a certe storiacce da ex DC e a siparietti di lotte intestine più tipici del PD, non vuole proprio abituarsi. Solo che questa volta ci sono andati di mezzo la magistratura, una denuncia e un clamore che non si potrà ignorare. Perché gli ingredienti della storiaccia morbosa ci sono tutti: presunti intrecci con la Massoneria, accuse sull’uso di droghe e pure qualche foto come mamma l’ha fatto del candidato. Che, anzi, proprio sulle foto racconta: “Quelle foto purtroppo sono vere. Ho ceduto una sera in una conversazione con qualcuno che era dietro il profilo Instagram di una donna. Poi quel profilo è svanito, ma le foto inviate hanno iniziato a circolare. E, ora, sono arrivate anche lettere minatorie in cui mi si chiede di smettere di fare politica”. Sono stati i nemici? E no, sono stati gli amici e il candidato pratese lo ripete con una convinzione che lascia pochi dubbi. Quasi come i suoi suinici scatti. Con la trama che, adesso, s’è fatta talmente fitta da non essere più solo una questione di Prato e, al limite della Procura di Prato, ma pure romana. E, perché no, di una triste immagine riflessa sullo specchio di questi tempi in cui in politica ormai si può tutto e non ci si sorprende più di niente.
La trama? Semplice eppure gustosamente contorta: adescamento online, scambio di foto intime in privato, sparizione dell’account che lo ha raggirato e, subito dopo, l’arrivo delle lettere anonime che contengono la foto incriminata e un ricatto sibillino: “o smetti di fare politica o ti distruggeremo la vita”. Perché niente dice “democrazia” come un dossier anonimo inviato per posta. Le missive sarebbero due: una arrivata a febbraio destinata solo a lui, l’altra ad aprile spedita a più indirizzi, tra cui il collega Claudio Belgiorno, la deputata Chiara La Porta e perfino Giovanni Donzelli, che in FdI è il toscano di riferimento. Oltre alla foto rubata, nel pacchetto c’erano fotomontaggi, accuse di festini, uso di droghe e — ciliegina sulla torta politica — il sospetto di affiliazione massonica. Cocci, con candore che fa simpatia, ammette solo le foto. Però è anche effettivamente iscritto da dodici anni alla loggia Sagittario, di cui afferma di essere segretario, ma da giugno si è messo “in sonno” (bella espressione, suona quasi come un pisolino morale). Nessun rapporto professionale con il gran maestro imputato nelle inchieste, Riccardo Matteini Bresci, dice lui; eppure la vicenda massoneria — che ha già fatto tremare la sindaca dimissionaria Ilaria Bugetti e portato in auge il fantasma di voti comprati grazie alle reti della loggia — diventa l’arma che Fratelli d’Italia ha usato contro il Pd e oggi scaglia contro se stessa contro come un boomerang.

La Procura di Prato, con il procuratore capo Luca Tescaroli in prima fila, ha aperto un fascicolo e indaga con massimo riserbo sulle lettere: analisi del contenuto, testimonianze, la denuncia presentata in questura, la Digos che entra in scena. Nel frattempo le immagini incriminate circolano tra consiglieri di destra e sinistra e qualcuno, con tempismo, chiede le dimissioni; altri si schermano con proposte di test antidroga e mozioni che profumano di opportunità politica, non di prevenzione sanitaria. I sospetti di Cocci puntano dritti a un regolamento di conti interno.
Cocci ha denunciato tutto a metà aprile e reclama di non voler essere ricattato per una “sciocchezza” privata; la procura indaga, la città è commissariata, il tessile langue sotto la pressione della criminalità organizzata e dell’economia in crisi, e il quadro politico locale somiglia sempre più a un romanzo poliziesco scritto da un alcolizzato sessofobico e visionario che, però, sta lasciando in sospeso i “lettori” e gli “elettori” con due grandi domande che aprono la strada a una terza: chi ha organizzato la trappola e a chi serviva screditare Cocci proprio ora? Ma soprattutto, in una città dove i voti possono essere contati come fossero merci, chi ha ancora voglia di fidarsi della politica quando la posta in gioco è un’istantanea social-onanistica e la strategia vincente è il ricatto? E questa terza domanda, purtroppo, non bisognerebbe farselasolo a Prato e solo adesso.