John Elkann non ha esitato a sfilare, a capo di tutto il parterre istituzionale torinese e piemontese, sulla passerella offertagli dal quotidiano La Stampa, che nel giorno dello sciopero dei giornalisti ha subito l’educata incursione da parte degli anarchici di Askatasuna che, appunto, non hanno distrutto nemmeno un computer, ma hanno vagamente imbrattato i muri della redazione, buttato per aria qualche copia cartacea del quotidiano qua e là. Insomma, niente di che. Una dinamica particolare che ha attirato l’attenzione dei media, i quali però, non hanno osato porre l’unica domanda che andava fatta a John Elkann – anche perché lui si è detto a priori indisponibile a rispondervi – ovvero, dunque lei, John Elkann, è ancora deciso a vendere lo storico quotidiano torinese al gruppo veneto Nem di Enrico Marchi tramite il patriarca dell’edilizia piemontese, e non solo, a Mattarino Dogliani e suo figlio Claudio, in prima fila tra le imprese designate per il Ponte sullo Stretto e, al tempo stesso, finanziatore del partito di Matteo Salvini? Ma non solo di questo si parla, perché Elkann non si limiterà alla vendita dello storico quotidiano torinese, ma pure Repubblica insieme con il comparto radiofonico composto da Radio Deejay, Capital ed M2O, indovinate a chi? Niente di meno che all’ottimo Bin Salman. Bel cortocircuito per Repubblica eh? Di questo ed altro abbiamo parlato con il direttore del quotidiano online Lo Spiffero, Bruno Babando, già direttore del Gr Piemonte e sempre un passo avanti a tutti per quanto riguarda quel che si sussurra tra i palazzi del potere ed i salotti sabaudi. Babando ci ha dunque confermato che, nonostante John Elkann si trovi ai lavori socialmente utili, non dobbiamo lasciarci ingannare dai modi più gentili del solito, perché la sostanza rimane invariata.
Ovvero, la Stampa, anche se il patron di Exor mostra solidarietà alla redazione in seguito all’incursione di Askatasuna, il quotidiano sarà venduto a dei nuovi acquirenti
Sì, per certi versi come dargli torto. Io credo che l’errore più grosso sia quello di addossare a John Elkann l’accusa di non essere sufficientemente umano. Quest’uomo per radici e formazione culturale è alieno rispetto al vecchio mondo agnellesco e del secolo ferrigno della città. Non sarà mai successore, né tantomeno difensore di una tradizione che non è nel suo dna. Lui è un finanziere di formazione, è uno che è cosmopolita per necessità, per nascita, cioè se noi guardiamo la sua biografia John Elkann è nato ed è stato sbattuto di qua e di là. Poveraccio, ha avuto anche una vita credo sentimentale un po’ complicata, come lui stesso l’ha anche raccontata, peraltro anche esprimendo grande dolore nei confronti dei rapporti sentimentali all’interno della sua famiglia: la madre, il patrigno eccetera eccetera. Quindi, come dire, si è chiusa un’epoca storica secondo me: il lungo Novecento torinese e piemontese ha il suo punto di caduta con l’accessione del giornale di casa, ultracentenario, che ha segnato nel bene e nel male un’epoca di questa città. Lui non è parte di quella storia, non la sente sua, nonostante che – come ho visto anche ieri quando ha portato la solidarietà – gli abbiano preparato il discorsetto che lui ha letto in modo molto diligente.
E’ interessante il profilo degli acquirenti della Stampa, perché leggevo su Lo Spiffero che in qualche modo sono vicini alla Lega e al Ponte sullo Stretto di Messina
Sì, da quello che io so, insomma dalle informazioni che sono riuscito a recuperare: fin dall’inizio, quando Elkann ha messo in vendita i gioielli editoriali di Gedi – Stampa, Repubblica, perché poi c’è anche la partita di Repubblica contemporaneamente, le radio, eccetera – lui ha sempre invitato i potenziali acquirenti ad avere anche un socio locale, in questo caso piemontese. Da lì i veneti, questo è il gruppo Nem, che hanno già rilevato da Gedi una quota consistente di testate locali, sono andati un po’ alla ricerca di chi potessero essere dei partner che sposassero questa loro impresa. Dalle ultime informazioni, dopo aver fatto un po’ di ricognizioni, alcune credibili, altre un po’ incredibili – ma ci risulta che ad esempio sia stato contattato anche Lavazza, che ha detto “molto lusingato, grazie, ma no” – i soliti Marco Boglione, propretario dei marchi Kappa, K-way, Superga, poi Marco Gay, il presidente dell’Unione Industriale che però, come dire, non ha un’industria. Quindi tutti soggetti abbastanza fragili anche dal punto di vista patrimoniale (non certamente Lavazza). Alla fine, per diversi intrecci, eccetera, è spuntato fuori il nome della famiglia Dogliani.
Chi sono i Dogliani?
La storia dei Dogliani è una storia un po’ particolare, nel senso che sono sempre stati molto sotto traccia. Matterino – che di patriarca è un geometra – ha fatto una grandissima fortuna senza mai apparire al grande pubblico, mantenendo sempre un basso profilo. Oggi hanno assunto una dimensione rilevante. Se uno va a vedere nelle ultime certificazioni al Parlamento, la sua azienda ha sottoscritto 10 milioni di finanziamento alla Lega di Matteo Salvini. Tanto da dire. Mi pare che sia stato “Domani” a tirare fuori l’elenco dei sottoscrittori in un articolo in cui si diceva appunto del potenziale conflitto di interessi del Ministro delle Infrastrutture il cui partito riceve finanziamenti da imprese che risultano poi assegnatarie di lavori. Dogliani oggi ha 85 anni, e c’è però operativo suo figlio Claudio che gira con un suo jet privato, quindi un tenore di vita altissimo, probabilmente essendo di seconda generazione avverte la necessità di fare il salto di qualità. E l’occasione di poter partecipare in una cordata come quella di NEM per rilevare la Stampa – che è pur sempre il quarto quotidiano italiano, ha ancora un blasone storico – probabilmente lo solletica un po’. Poi c’è anche un elemento geografico: i veneti anche loro sono un raggruppamento di imprenditori che rappresentano molto quel legame territoriale tipico del Veneto, l’impresa diffusa. Cuneo, per certi versi, assomiglia un po’ a quel tessuto lì. Quindi le sinergie potrebbero trovare una sintesi felice. Non dimentichiamoci che a Narzole nelle Langhe c’è anche il presidente della Regione insieme a sua sorella Giulia, la potentissima direttrice di Confindustria Cuneo, di cui anche i Dogliani fanno parte. Quindi, mettendo insieme questi tasselli, viene fuori un puzzle credibile che potrebbe portare davvero a questa compagine societaria in grado di rilevare la Stampa.
E quindi ci sarà una Stampa pro Salvini?
Ma io questo non lo credo. Credo che nessuno, quando compra uno strumento come un giornale – un’impresa un po’ atipica – voglia farla fallire o andare contro la sua natura. Quindi credo che l’interesse da parte dei futuri acquirenti sia valorizzarla, cercare di esaltarne i tratti peculiari. Cioè non conviene nemmeno a loro stravolgerla. Questo giornale attraversa questa fase proprio perché ha perso la sua identità storica originaria. La Stampa è sempre stata un baluardo della borghesia laica e forse anche laicista di stampo sabaudo. Basterebbe scorrere l’elenco degli editorialisti e delle grandi firme che in cento e oltre e anni dal mite giacobino Galante Garrone, a Bobbio, a Luigi Firpo. La Stampa negli ultimi decenni ha smarrito quell’identità e, contemporaneamente, il legame con il territorio. Era il giornale della città. Questo via via si è perso. Nel grande contesto della crisi della carta stampata, La Stampa sta peggio della media.
Sì, ma senti: a proposito dell’attacco che c’è stato alla Stampa, come mai Lo Russo, anche dopo queste cose, non si decide a sgomberare Askatasuna?
Io credo che da una parte ci sia una sottovalutazione di che cos’è questo fermento che si muove in città, e questo secondo me è l’elemento più preoccupante. Perché sono sempre i primi segnali di un potenziale salto di qualità che può portare la legittima protesta sociale e politica a un livello superiore. Quindi, da una parte, sottovalutazione, dall’altra, mancanza di lettura politica di ciò che succede. Mi spiace dirlo, ma il sindaco Lo Russo mostra una totale inadeguatezza politica. Quando lui tratta la partita Askatasuna semplicemente come un tema immobiliare, la sua giustificazione alla pericolosità sociale degli antagonisti è che l’occupazione dello stabile da parte di Askatasuna sia “un’operazione di rimessa in sicurezza”. E’ un’operazione da real-estate, non politica. Lì c’è la carenza di un sindaco che non riesce a cogliere questa dimensione del problema e tantomeno gli allarmi arrivati in questi anni dalle forze dell’ordine. La Questura non ha mai visto di buon occhio il patto Lo-Russo Askatasuna. Lo stesso ex procuratore capo, oggi sulla Stampa, dice: quel progetto lì è fallito. È grave che un sindaco non riesca a cogliere questi elementi. Non c’è solo miopia, ma anche sordità, e una carenza di lettura politica.
Forse questa sua sordità è dovuta al fatto che Askatasuna esercita in qualche modo una certa influenza?
Certamente Askatasuna ha dei compagni che siedono nelle istituzioni, probabilmente ci sono anche tra i loro militanti figli di famiglie in vista nella vita politica e sociale di Torino, certamente c’è una parte di magistratura che, se non accondiscendente, è benevolente, considerando Askatasuna un luogo di libertà creativa. Probabilmente c’è anche questo calcolo, ma non lo so. Se fosse così sarebbe preoccupante che un sindaco sia ostaggio di questa dinamica.
Elkann non sta per vendere solo La Stampa, ma anche Repubblica e il settore radiofonico (Radio Deejay, Capital, M2O) all’imprenditore Kyriakou greco e nell’acquisto è coinvolto anche bin Salman?
Sì, è così. E lì qualcuno dice che dietro questa operazione c’è quella grande volpe di Matteo Salvini che – non dimentichiamolo – con quel mondo lì continua a fare affari e continua a essere un referente in Europa. Ad ogni modo ti confermo che è così. Anche perché per Repubblica, Elkann, avrebbe sempre manifestato preferenza per un soggetto straniero e non italiano. Repubblica, a differenza della Stampa, ha un mercato, mentre La Stampa, più che quello domestico, non è appetibile. Repubblica per le sue dimensioni e la sua storia ha dei potenziali acquirenti sul mercato estero. E lui, per evitare di entrare nei meccanismi italiani – guerre tra editori, Angelucci, o avventurieri che hanno fatto grandi fortune ma mancano del blasone – ha sempre espresso la volontà di cederla a un gruppo internazionale. Pensava ai francesi all’inizio, dopodiché Vivendi, con gli schiaffoni che si è presa ultimamente, pare si sia tirata indietro. A questo punto questo gruppo greco, che ha già più di un piede nel settore editoriale e ha forti ambizioni e grandi capitali, sembra essere l’acquirente più adatto.
Secondo te, per la storia e la posizione politica di Repubblica, non potrebbe essere un bel cortocircuito finire nelle mani di bin Salman?
Repubblica ha un tratto molto particolare e ritiene di potersi scegliere il proprio editore. Ma la verità è che oggi di grandi editori in grado di sopportare un’impresa del genere non ce ne sono molti in Europa. Dovranno trovare una mediazione tra interessi legittimi degli investitori e la tutela della libertà di stampa e di una linea editoriale autonoma. Come tutti noi sappiamo, regola numero uno: chi mette i soldi tende a comandare; regola numero due: devi trovare la forma per coniugare gli interessi dell’editore con quelli del lettore e della libera informazione.
Quindi è proprio cosa certa?
Sì, non è ancora confermata, però il gruppo greco e bin Salman fanno già cose insieme in altri settori, quindi è verosimile che ci possa essere questo genere di congiunzione tra loro.
Dovremo prevedere un futuro attacco di Askatasuna anche a Repubblica?
Questo non lo so. La cosa divertente è che Askatasuna è andata a fare un’incursione molto strana: in un giornale, in una redazione che soprattutto negli ultimi tempi non si è mostrata ostile alle loro battaglie. Dico “molto strana” perché – a parte la mancanza della tutela delle forze dell’ordine, essendo stata lasciata sguarnita in una giornata di corteo – una volta entrati non hanno spaccato nulla. È molto strano che un corteo scavalchi ed entri abbastanza indisturbato in redazione, butti a terra un po’ di giornali, imbratti, faccia scritte… tutto quello che vuoi, ma non tocchi nemmeno un pc.
C’è qualche accordo che non conosciamo?
Non lo so, ma mi pongo interrogativi. Forse all’interno del corteo c’erano soggetti in grado di condurre quest’azione nei binari meno gravi. Un conto è una denuncia per imbrattamento; altro è devastare.
Ad ogni modo la compravendita, ad ora, è in standby, come mai?
Dal momento in cui hanno iniziato a circolare voci molto precise sugli acquirenti e sulle procedure, anche il corpo redazionale si è agitato. Credo che la proprietà voglia evitare fughe in avanti e comunicare solo quando il closing sarà fatto. Dall’altro lato ci sono nodi sull’assetto del veicolo societario che rileverà La Stampa. Come ti dicevo non sarà solo Nem di Enrico Marchi, ma NEM più alcuni soggetti piemontesi come appunto i Dogliani. E poi c’è il nodo dei costi. La Stampa è l’unico quotidiano, tolto il Corriere della Sera (che è un’altra cosa), che ha ancora la stampa di sua proprietà. Ai vecchi tempi prima si comprava la tipografia e poi il giornale. Oggi nessun quotidiano ha più la proprietà. Per i costi, per le economie di scala: più fai lavorare le rotative, più i costi si assottigliano. Purtroppo nel quotidiano si stampa solo più il giornale e poco altro. I costi a copia sono molto alti. E questo, insieme a un corpo redazionale sovradimensionato – 170 giornalisti, redazioni milanese, romana, corrispondenze europee – genera costi notevoli. Messo tutto insieme, è evidente che, siccome La Stampa perde 12 milioni l’anno, il potenziale acquirente tende a calcolare questa zavorra nel prezzo.
Secondo te questa dimostrazione di Askatasuna rischia di compromettere l’accordo di compravendita?
Assolutamente no. Non è un caso che ieri l’editore, quando è arrivato a portare la solidarietà, non abbia detto niente, anzi, pare che abbia chiesto esplicitamente che non gli venisse nemmeno rivolta una domanda sul tema. Su quest, credo Elkann se ne freghi altamente.
Se lui se ne frega, magari quelli della NEM magari ci ripensano, perché una compravendita di un giornale comporta sempre tagli del personale e data l’attenzione mediatica sul caso, questo potrebbe essere un problema…
Chi compra deve sempre gestire i costi, ma immagino stiano lavorando a delle formule per aggredire i costi e rendere compatibile l’operazione con tutto quel che è successo. Credo questa incursione sarà abbastanza ininfluente da questo punto di vista.