Come se non fosse bastato per Torino il trauma della fusione tra la Fiat e l’americana Chrysler – oggi a sua volta inglobata insieme con il gruppo francese Psa, in Stellantis – l’ennesimo schiaffo agli abitanti, ma soprattutto agli operai che abitano la decadente ex-Capitale, è arrivato con la chiusura del Polo del Lusso di Grugliasco. Lo stabilimento in questione avrebbe dovuto produrre i sedili per la Maserati ma lo stabilimento, che misura un’area di quasi dodici chilometri quadrati, è stato messo in vendita su immobiliare.it. Una scelta che ha fatto molto discutere e che appare come un vero e proprio smacco verso i lavoratori di Stellantis, per altro di recente invitati (in quindicimila finora) via mail ad autolicenziarsi per “costruire il proprio futuro”, come recita l’oggetto del messaggio, “lontano dalla Fiat” come molti giornalisti hanno commentato. Tutto questo è l’antipasto di futuri tagli al personale dovuti a delocalizzazioni produttive all’estero? In vista dell’apertura a dicembre del tavolo di lavoro tra Stellantis, il governo italiano e i sindacati, abbiamo deciso di intervistare un profondo conoscitore delle dinamiche politico-economiche di Torino e del Piemonte, nonché Direttore del caustico, puntuale e sempre schietto quotidiano online Lo Spiffero. Stiamo parlando di Bruno Babando, ex direttore di Grp Televisione e autore di molti saggi su Torino e la sua storia più recente. Stamani abbiamo avuto occasione di farci una lunga chiacchierata sulla vicenda e questo è quanto emerso dalla nostra discussione.
Direttore, si scrive molto del fatto che John Elkann abbia messo in vendita su immobiliare.it il capannone da 115 mila metri quadri dello stabilimento ex Maserati. Secondo lei perché?
È una scelta del tutto coerente con la proiezione su un piano internazionale e prevalentemente finanziario del gruppo in questione, ovvero la recisione finale delle proprie radici. Quando parlo di “gruppo” mi riferisco al gruppo Agnelli-Elkann, visto che Stellantis è nei fatti governata dai francesi. Insomma, quella che ci hanno in qualche modo raccontato come una sorta di fusione, in realtà è una vendita posticipata nei tempi, anche perché la stessa parte francese ha la possibilità di aumentare progressivamente la propria consistenza, già notevole, del pacchetto azionario. Quindi non stupisce affatto questa progressiva dismissione degli impianti produttivi. Mi sembra che anche nelle ultime relazioni dei bilanci di Exor sia chiaro quali siano le priorità. Parlo di investimenti in settori altamente redditizi e produttivi come l'innovazione, il settore medico, tutte cose che in realtà non hanno più a che fare con la produzione novecentesca.
Lei allude all'acquisizione del 15% di Philips. Giusto?
Esattamente. Il settore medicale, elettromedicale, la ricerca medica diagnostica, eccetera, sono settori in forte espansione, con margini di business altissimi. Elkann, dunque, ci si è immediatamente catapultato. L'antipasto l'avevano servito con il centro medico della Juventus, che sta funzionando benissimo a Torino, oggi peraltro in regime di accreditamento con il sistema sanitario. Tornando a noi, per il capoluogo piemontese, certamente, la vendita del capannone di Grugliasco è stata un fatto molto sentito e simbolico di una tendenza che investirà progressivamente altri ambienti. La stessa riconversione di Mirafiori dura ormai da qualche decennio ed è in linea con la riduzione degli spazi dedicati alla produzione. Le riconversioni immobiliari la dicono lunga su quale sia la vocazione di questo gruppo.
Certo, ma Torino senza l’automotive, secondo lei, può avere qualche altra direzione oppure sarà abbandonata a se stessa nelle correnti del turismo?
Torino ha attraversato diverse fasi nella propria storia e si porta addosso, come una condanna, tutta una serie di fattori. Torino deve essere sempre capitale di qualcosa, perché lo è stata in passato. È stata certamente la prima capitale del Regno, di un'Italia che stava nascendo. È stata la capitale dell'industria automobilistica, è stata la capitale del cinema, è stata la capitale della televisione. Ecco, questa ossessione di primeggiare a tutti i costi, di essere sempre la numero uno, oppure di non fare niente, secondo me, è una condanna storica che Torino fatica a togliersi di dosso. L’ex capitale non è più una grande città contemporanea, purtroppo. Il numero di abitanti, peraltro, continua a calare. Le grandi metropoli che vogliono competere sulle reti internazionali devono fare tante cose contemporaneamente. In alcuni settori magari possono eccellere, in altri no e in altri magari si tratta di una posizione di risulta. Torino, purtroppo, ha questa brutta abitudine di buttarsi a capofitto su di un unico obiettivo in maniera ossessiva. Detto ciò, bisogna anche tenere conto del fatto che dopo la grande crisi della Fiat – in parte tamponata con la “sbornia olimpica” del 2006 – pensare di riconvertire un'intera economia cittadina e regionale, nel loisir, nel turismo e negli spettacoli, direi che è perlomeno velleitario, se non altamente pericoloso. Certamente un investimento nel settore della produzione manifatturiera dovrebbe essere garantito, se non assolutamente incentivato, e ritengo che anche qui tutte le politiche che gli enti locali, le istituzioni e lo stesso governo con il tavolo nazionale per l'automotive di Urso sono da accogliere con grande interesse. Detto questo, non riesco a immaginarmi una Torino turistica, tantomeno città museale, anche perché sarebbe l'ammissione di una sconfitta, di un’abdicazione alla propria vocazione produttiva.
Oltre all’annuncio su immobiliare.it ci sarebbe anche il caso della mail inviata a quindicimila lavoratori, invitati a licenziarsi volontariamente. Oggetto del messaggio: “costruisci il tuo futuro”. Sia gli operai ma anche i torinesi più “aristocratici”, se così possiamo definirli, secondo lei cosa ne pensano?
Il rapporto del torinese con la famiglia Agnelli, e quindi oggi con gli Elkann, è sempre stato molto controverso, una sorta di amore e odio fin dai tempi di Valletta, del Senatore Agnelli, cioè il Patriarca e l'Avvocato. Un misto di ammirazione e irritazione per le loro scelte. Non dimentichiamoci una cosa. Tra i tanti retaggi della città c’è anche il fatto di essere stata ed essere ancora una città di corte. Per prendere qualche decisione importante, di carattere urbanistico o amministrativo nella città, la prima domanda che si facevano gli stessi amministratori pubblici era: "Chissà che cosa ne penseranno in Corso Marconi", il quartier generale della Fiat. Come una sorta di sudditanza psicologica nei confronti della famiglia reale – la famiglia reale degli Agnelli, che non a caso noi de Lo Spiffero denominiamo "la sacra ruota" o "la sacra famiglia" –, salvo poi scoprire, ma a distanza di tempo, che in corso Marconi in realtà fregava poco o nulla di ciò che capitava a Torino, in virtù dello stesso principio che ha sempre ispirato il comportamento dell'Avvocato. Tutti i suoi colpi di testa, le sue avventure sentimentali e di divertimento restavano fuori dalla cinta daziaria, perché “a Torino si lavora”. Indossava dunque quella veste perbenista e molto ipocrita tipica dei torinesi. Certe cose si fanno, ma non si dicono. Certe cose si fanno, ma si fanno altrove. Se leggiamo la biografia dell'Avvocato Agnelli, scopriamo che nel mondo ne ha fatte di ogni tipo, ma a Torino ha sempre conservato questo habitus di moderato, di persona perbene, rispettosa, perché quando si affacciava da Villa Frescot, guardava la città tutta illuminata e diceva tra sé e sé che “a Torino si va a dormire presto perché ci si sveglia molto presto la mattina per andare a lavorare. Gli altri, gli operai, ovviamente”. E oggi che cosa è rimasto di tutto questo? Oltre alle lunghe file alla camera ardente dell'Avvocato, s’intende. Quasi più nulla. Direi che il rapporto del nipote, di Elkann, con Torino, è inesistente. Compare qualche volta quando deve promuovere le proprie – e legittime, sia chiaro – iniziative. Oggi alla famiglia Agnelli serve moltissimo il sostegno, ma soprattutto il consenso, delle istituzioni. I grandi complimenti alla concorda istituzionale tra Cirio e il sindaco Lo Russo servono agli Elkann per fare queste operazioni di riconversione, per esempio per trasformare Mirafiori – che è stato uno dei più grandi impianti industriali fordisti del Novecento – in un moderno e gigantesco sfasciacarrozze. È evidente che queste operazioni si possono fare solo con un po’ di consenso o di pace sociale, ma anche con un po’ di aiuto da parte delle istituzioni. Stranamente Landini su tali questioni si guarda bene dall'intervenire, perché il patto che lega il gruppo Stellantis con Tavares, Cirio e Lo Russo è stato “segretato” per così dire. Presumibilmente consterà di vantaggi fiscali, oppure di costo di energia, se non di qualche assicurazione di riconversione urbanistica. Qualcosa è stato concesso o promesso. Quindi è evidente che la questione in oggetto, per Elkann e per gli investitori internazionali – che oggi rappresentano la stragrande maggioranza del gruppo Exor – interessa moltissimo. È la preparazione alla fuga definitiva, all'addio definitivo. Questo sarà seguito, simbolicamente, da un'altra grande rottura, ovvero, la vendita della Juventus. A dispetto di quanto loro, recentemente nell'ultima assemblea, hanno assicurato. “La Juventus... bla bla bla...l'orgoglio, la famiglia, eccetera eccetera” una volta ripuliti i conti – la scelta del management messo al vertice della Juventus ha proprio questo preciso obiettivo – quando si troverà l'affare giusto, che sia uno dei fondi americani, o gli arabi, poco importa chi, verrà dato l'addio definitivo a Torino, anche in un modo simbolico. Avrà dunque fine una volta per tutte la loro propaganda nella città.
In questi giorni si scrive molto in vista di questo tavolo di lavoro tra Stellantis, il governo e i sindacati, che dovrebbe tenersi questo mese. Quando si parla di intervento pubblico in Stellantis, Elkann si presenta sempre freddissimo. Dice che le cose vanno bene, però allo stesso tempo le linee di credito aperte con il Pubblico dalla Fiat, dal 1975 sino a oggi, contano circa 220 miliardi. Di questi, 6,3 miliardi nel 2020, prestati dal governo Conte, sono stati restituiti, ma la produzione non è ancora tornata ai livelli pre-Covid, oltre ad aver lasciato a casa dal 2021 circa 8.000 lavoratori. Quindi, secondo lei, ci sarà in fine un intervento dello Stato oppure no?
Io questo non lo so, certamente il ministro Adolfo "Urss" è uno che per la propria storia di destra sociale è fortemente favorevole all'interventismo statalista. Io che sono di impronta liberale sono molto sospettoso quando c'è un intervento dello Stato nell'economia. Ritengo appunto che lo Stato “meno fa e meglio fa”. Dopodiché, comprendo che nel caso specifico si tratti di un’industria che continua a essere strategica. Non perché le auto siano strategiche di per sé, ma perché attorno al mondo dell'automotive c'è una filiera che parte dalla ricerca e arriva ai prodotti di primo e di secondo livello. È appunto un volano per la ricerca e per la produzione di altri settori. È evidente che l'industria automobilistica – ancor di più adesso a conversione elettrica in corso – impatti su di un perimetro molto più ampio di quello del proprio settore. Se pensiamo anche soltanto di cosa sono fatte le batterie, ai processi che in qualche modo coinvolgono le materie rare, i chips, eccetera, è indubbiamente un'industria ancora strategica, o forse addirittura destinata a esserlo sempre di più. Quindi comprendo che possa esserci da parte dell'attore pubblico un'attenzione particolare a che questa cosa qui non finisca magari in mani straniere, se non altro per l'approvvigionamento. Il rischio qui è rappresentato dalla Cina. Inoltre, la partita è anche quella di assicurare una parità di investimenti, nella fattispecie per quanto riguarda la Francia, visto che è l'altro importante Paese nel quale Stellantis opera. In ogni caso il ritorno a una produzione – quello di cui parla “Urss” – di un milione di vetture, oggi mi sembra veramente impossibile, visto che siamo ben al di sotto della metà. Come tu prima sottolineavi, nel frattempo non c'è un investimento per un rafforzamento delle realtà produttive nazionali, ma anzi si incentiva l'uscita di operai impiegati, il che è un segnale ben chiaro. È proprio su questo alleggerimento della produzione in Italia che avremo modo di misurare la forza del governo e soprattutto di capire quali strumenti utilizzerà per fare pressione. Al di là del silurare direttori di giornali, come nel caso de La Stampa, s’intende. Mi sembra che oggi si siano perse tante occasioni. Per questo siamo molto in ritardo, mentre si sta continuando a fare tanta e troppa propaganda.
La tentazione di delocalizzare la produzione Panda in Turchia, dove costerebbe circa un terzo, è certamente fortissima per Stellantis. Paesi come la Serbia accoglierebbero a braccia aperte l'occasione, come anche l'Algeria e il Marocco hanno già fatto, visto che proprio lì è incrementata la produzione rispetto a quella italiana. Realtà in forte contrasto con gli articoli 1 e 41 della Costituzione, spesso citati al riguardo. Oltre alla dimensione economico-politica, però, ne sussisterebbe anche una antropologica, che vorrebbe Giorgia Meloni e John Elkann come provenienti da due mondi completamente diversi. Quanto conta questo aspetto in concreto?
Direi che Giorgia Meloni e John Elkann sono antropologicamente agli antipodi, questo è fuor di dubbio. Però bisogna anche fare una puntualizzazione. Il valore di un imprenditore, quindi di un'impresa, deriva dalla creazione di valore. Non si può, dunque, obbligare un imprenditore a investire laddove non convenga. Diversa, però, è la questione di una responsabilità sociale dell'impresa e dell'imprenditore, che è molto più sviluppata quando il capitalista in questione ha forti radici, anche territoriali. Questo non è il caso di Elkann. Gli ultimi eredi, infatti, sono cresciuti in un contesto familiare e di relazioni interpersonali che eccedono l'Italia, che oltrepassano i confini dell'Europa, allevati da tate, da nonne, sballottati da una parte all'altra del pianeta, con famiglie inesistenti o distrutte nel frattempo. Riuscire a coltivare delle relazioni, anche sentimentali, se non familiari, tra genitori, tra diverse generazioni, credo sia stato molto difficile per loro, come credo sia stato complicato costruirsi una personalità in un simile contesto. C'è una cosa che però ritengo importante, al netto dei loro problemi psicologici, che ovviamente non spetta a noi valutare. Una considerazione certamente oggettiva è che loro non hanno radici. Gli Elkann sono l'incarnazione del capitalismo apolide, che investe laddove si presentino delle opportunità.
Effettivamente fa un certo effetto pensare che la Fondazione Gianni Agnelli sia un soggetto di diritto olandese...
Certo, è assolutamente così, anche se bisogna ammettere che qui in Italia scontiamo un'arretratezza anche nella dimensione del diritto societario. L'Olanda consente di conteggiare il doppio di ogni azione per dare stabilità al nocciolo della governance. Quindi, vi è tutta una serie di elementi che ha indotto molte aziende – non soltanto Fca prima e Stellantis dopo – a stabilire la loro sede in Olanda. Ritengo che l'Avvocato – che pure, come abbiamo visto, è stato un grande evasore fiscale – non avrebbe mai portato la sede né legale, né amministrativa all'estero, perché era figlio della propria storia e della propria dimensione familiare, così come Elkann è figlio di un'altra storia e quindi non percepisce il benché minimo vincolo con il territorio.
Senta, tornando in ultima battuta sulla Torino cortigiana, è di qualche tempo fa un articolo su Torino Today in cui si racconta che l'intelligenza artificiale avrebbe ricreato un'intervista virtuale con Gianni Agnelli. Dunque, come diceva poco fa, è proprio vero che i torinesi continuano a chiedersi: “Che cosa ne penserà l'Avvocato”.
D'altra parte, se lei ci riflette, uno dei miti di Torino è proprio Gustavo Rol (di cui tra l'altro ga realizzato anche un bellissimo documentario Anselma Dell'Olio). Quindi al riguardo potremmo affermare con certezza che ascoltare i morti è una delle più tipiche pratiche torinesi. Potremmo dire con una metafora automobilistica, infine, che qui a Torino si sfreccia con lo sguardo rivolto allo specchietto retrovisore!