No, Michele Guardì costretto a scrivere a Dagospia per giustificarsi e chiedere scusa del suo linguaggio no, è stato un colpo al cuore. Perché il linguaggio di Guardì non è turpiloquio: Guardì lo sa, i siciliani lo sanno, non lo sanno invece le beghine ipocrite: quella di Guardì non è “volgarità” bensì “vulgata”, non è “linguaggio” ma vera e propria “lingua”. Tra la “lingua” di Guardì e quella di Andrea Camilleri - inventata, finta, da chi ha perso ogni radice con la propria terra - è quella di Guardì quella vera, neorealista, con tutta la sua portata rivoluzionaria. Perché Guardì e Camilleri vengono entrambi dall’agrigentino, il luogo che non a caso ha dato i natali a Luigi Pirandello e dove la “lingua siciliana pura” nasce, lontana dalle contaminazioni del catanese e del palermitano. Ed è nell’agrigentino che il turpiloqui, la volgarità, diventano lotta di classe contro il latino e contro ogni linguaggio “colto” detenuto dal Capitale. Cosa che, ovviamente, Camilleri copre e nasconde e censura con il suo linguaggio posticcio e appiccicaticcio, devoto al danaro (scrisse di andare sulle biciclette di Antonello Montante, tutta una truffa per dare storicità alle biciclette di un capetto di confindustria sotto processo per collusioni varie). Quello che dispiace, casomai, è che anche Guardì si sia un po’ “romanizzato”. Michele che è quel “froc*o! Si dice “puppo” o, in maniera raffinata, “calamaro” (nell’agrigentino si usano metafore marinaresche e da classe operaia pescivendola). Che è quel “tro*a”, noi abbiamo il “sucaminchia” e soprattutto lo splendido “tappinara” (le donne che praticano la professione e saltando dentro e fuori dal letto non hanno tempo di mettersi le scarpe e indossano, per comodità, le “tappine”, le pantofole).
Capisco che in quest’Italia bigotta e ipocrita, con una lingua inventata dal TG1 negli ultimi anni, non si voglia dare spazio alla ricchezza dei dialetti (abbonatevi tutti al Vernacoliere, altro che Accademia della Crusca), ma quello che fa imbestialire è che la grandissima arte dell’insulto (come Guardì sicuramente sa, il più grande insultatore del mondo era William Shakespeare) venga condannata da questa gentucola senza “lingua” e quindi senz’anima, persone che si inalberano o appassionano in italiano politicamente corretto (mi fanno paura queste persone)! Te lo dice uno scrittore che ha il record di “minchia” in un libro (nelle varie declinazioni, minchia, sucaminchia, scassaminchia, stuppaminchia, stoccaminchia) certificato da Mario Baudino su La Stampa e pubblicato da Farrar, Straus & Giroux, la casa editrice più chic del mondo (il libro in questione è Sicilian Comedi). Spiace vantarsi come Maurizio Milani al bar dopo che ha lavato i tori, ma non si può stare zitti di fronte a questa ingiustizia e porcheria e delitto contro la parola. A te devono chiedere scusa, Guardì! Libera il tuo fantastico e agrigentino linguaggio rivoluzionario. ‘Sti spacchiu di test’iminchia!