Rilassato, aggiornato, finalmente Calcutta è tornato meglio di come lo avevamo lasciato qualche anno fa, “come un lampo sopra la città”. Relax, il suo ultimo album ci fa prendere bene. La solitudine, il mondo che brucia fuori dalla nostra finestra, la preoccupazione per il domani, tutte le discordie e le paure se ripensate ascoltando Calcutta hanno un sapore diverso. Possiamo ancora cantarlo in Piazza Trilussa con una birra in mano e la solita chitarretta arpeggiando quei due o tre accordi, ma per fortuna il ritmo ci trascina anche da un’altra parte, ci porta più lontano, in riva al mare con i piedi nell’acqua dove vorremo rimanere per “tutto quello che ci resta da vivere”. Incontrarsi nel traffico senza riconoscersi, la solitudine che al nord è più forte che mai, la parola “aiuto” scritta sulla sabbia, le solite frasi sconnesse di Calcutta che presto diventeranno le caption predilette da mettere sotto i nostri post Instagram ci fanno credere di non essere più qui. Nella sua lingua impossibile, che sembra un po’ l’idioma indecifrabile di Tlön nel racconto di Jorge Luis Borges, Calcutta dà voce e forma alle sensazioni immediate che abbiamo quando vogliamo rilassarci, distenderci, spegnere la luce e non pensare a niente. Certo il canto gregoriano se lo poteva risparmiare, però a noi questo album è piaciuto. In Relax c’è un brano che spicca sugli altri…
La canzone più riuscita è decisamente Controtempo. “Senti che tristezza? A volte penso che ero contento, uh, sentendomi con te in controtempo”. Una hit che ci farà compagnia senza alcun dubbio per i prossimi mesi. Perché evoca l'inizio di una frequentazione, le sensazioni che maturiamo quando incominciamo a sentirci con una nuova persona e pensiamo di essere felici per quella relazione acerba che si trova collocata in un limbo, tra il vero e il finto, perché non osiamo fare un passo avanti o forse perché in fondo, preferiamo gli amori immaginari a quelli veri. Lasciandoli fermi lì in un angolo senza che nessuno dei due faccia niente per distruggere la bolla costruita con fatica dalla nostra mente. Se Calcutta come diceva Calvino ancora indugia in malinconie esistenziali è perché rappresenta il riflesso di chi lo ascolta, del fruitore che ha bisogno di staccare dal lavoro e dalle paturnie che lo logorano e perché no, pure di accendersi una bella cannetta...