144mila followers su Instagram, 52mila circa su Tik Tok. “Ma ci sono insegnanti che fanno numeri anche più alti”. E a dirlo è proprio lei, Sonia Candy, al secolo Sonia Cristofori. 32 anni, ne dimostra 24 per verve, spontaneità ed entusiasmo. La Chiara Ferragni dell’insegnamento 3.0? “Magari potessi diventarla. Siamo quasi coetanee, la ammiro”. Non è l’unica insegnante social, Sonia. No affatto. Ce ne sono diversi bravi, in giro. Giovani, veloci, ma lei pare avere qualche asso in più nella manica: le scenette, una simpatica sfacciataggine e clip rapidi che spesso salpano il mare (magnum) dello slang.
Ricordacelo, di nuovo, che magari ci serve: ma “bitch”, esattamente, cosa significa nel linguaggio di strada americano?
Beh, una “bitch” è una stronza, una ragazzaccia. In origine “bitch”, letteralmente, era “la femmina del cane”. Poi il significato ha preso altre forme – “la donna dai facili costumi”, tipo –, ma ormai, da un bel po’ di tempo, per “bitch” si intende semplicemente una “tosta”. Non è un termine finissimo, certo, però non è più “puttana”. Ma perché me lo chiedi?
Perché alcuni si sono convinti che Elodie, affermando, prima di Sanremo, di voler “fare la puttana”, abbia semplicemente tradotto male “bitch”. Per quanto poi, interpretando “American woman” con Big Mama, abbia effettivamente fatto la parte della “bitch” vecchio stile…
Ah, ok.
Ripartiamo da te, Sonia.
Sono sempre stata interessata all’inglese. Leggevo il dizionario, ero una piccola nerd, poi ho iniziato ad ascoltare Eminem. A quel punto tutta la mia carriera scolastica è stata ispirata e condizionata dall’inglese. Prima il liceo linguistico, poi la triennale in Lingue e culture moderne, quindi la magistrale in Lingue e traduzione. Appena laureata sono andata a vivere a Tokyo per due anni e mezzo. Di fatto ho sempre insegnato.
A scuola?
No, privatamente. La scuola mi stava stretta, troppo schematica.
Ora vivi nella nativa Roma?
Sì, Roma è la mia base, ma in questo momento sono a Gran Canaria. Non in vacanza, però. Lavorare alle Canarie è meglio che lavorare nel freddo di Roma. Poi da maggio fino a luglio tornerò in Giappone.
E sforni video visualizzatissimi a ritmi quotidiani.
Ci rimango secca ogni volta quando vedo che raccolgo 20mila visualizzazioni in pochi minuti.
Merito del tipo di inglese che insegni?
Beh, insegno un inglese naturale, molto “in uso”. Cerco di insegnare l’inglese che mi metteva in crisi anche da laureata. Ho pensato allo slang, a quelle espressioni che gli inglesi e gli americani usano di continuo ma per noi sono ancora un po’ esotiche. A volte, per non fare la parte della saputella, mi trovo a raddoppiare il “would” nelle frasi del terzo periodo ipotetico, proprio come ormai fanno una marea di americani. Anche se è tecnicamente sbagliato, è accettato. Mi piace una lingua viva, flessibile, aggiornata.
Non sei l’insegnante che insiste sulla “s” alla terza persona, insomma.
No, il mio insegnamento nasce dalle figure di merda che ho fatto. Dalle gaffe di quando ero giovane, dalle insidie dei false friends. Il mio follower tipo è un lavoratore fra i 25 e i 45 anni, con un inglese medio-alto. Molto interessato alla cultura inglese, americana. Alle culture straniere in genere.
Perché secondo te tanti italiani sbagliano ancora, ad ogni età – e in massa, direi –, alcune pronunce? Foot Locker che diventa immediatamente “foot looker” o il badge che diventa “bay-dge”?
Alcune pronunce sbagliate si diffondono per imitazione. Il locker in questione, nella testa di molti, è oggettivamente “looker”. Nel senso che scriverebbero proprio così, sono convinti che sia “looker”. Nel caso di “badge”, invece, vedo la difficoltà di una persona a distinguersi nel microambiente di cui fa parte. Quando al lavoro senti tutti pronunciare “bay-dge”, tu non ci stai, magari, a “fare il fenomeno”. Anche se sai di avere ragione. Una volta uno studente mi ha confessato: ok, tu mi hai detto come pronunciare correttamente “engineering”, ma se lo pronuncio giusto mi dicono che me la tiro, mi guardano male.
Anche tu vanti qualche hater?
Pochissimi, il clima della comunità è rilassato, sereno. Può esserci quello che spacca il capello in quattro e cerca di gratinarmi, ma non è frequente. Ho trovato uno che ha provato a convincermi che avrei dovuto pronunciare “Caesar” (in “Caesar salad”) non all’inglese perché la parola è di origine latina. L’Accademia della Crusca, al proposito, è dalla mia parte, però il tipo è partito in quarta, come per affondarmi.
L’italiano colonizzato dall’inglese. Al di là del dibattito che ne può derivare, come ti poni davanti a un termine come “cringe”?
Il successo di “cringe” credo risieda nella sua semplicità e nel fatto che è difficile trovare in italiano un equivalente che abbia la stessa “vibe”. Ad esempio, mi aspetterei lo stesso successo anche da parole come “awkward” o “creepy”. La fortuna di “cringe” la capisco, ma a volte sono solo le mode a vincere. Certi termini provengono dal mondo social, dal gaming, dalla cultura pop. E il dominio inglese, in quei territori, è ancora netto. La battaglia per l’italiano, però, la lascio combattere ad altri. Io ho già le mie. I vari “management” con l’accento sulla seconda “a”, “development” con l’accento sulla “o” e via così.
Battaglie che hai portato anche in radio. Come va con Giovanni Vernia e Petra Loreggian su RDS?
All’inizio il fatto che fosse tutto live mi faceva paura, ora sono più sciolta. I miei video li monto e li rimonto come e quando voglio, su RDS invece è tutto in diretta e durante i primi collegamenti temevo di sbagliare anche l’italiano.
Social, radio. Manca un libro.
Arriverà presto. A metà marzo, per Giunti. Si intitola “Natural English” ed è un tentativo di insegnare l’inglese “giusto” a seconda del contesto. Un testo per adulti che insegna cosa dire e non dire, come evitare le brutte figure, come sembrare veri locals.
C’è ancora posto per qualche sogno?
Certo! Sogno di avere un brand, creare un metodo che porti il mio nome. Un percorso che tenga conto anche dell’American English. Cambridge, Oxford e… Sonia Candy!.
Solo?
Beh, ho collaborato con Gabriele Muccino per il suo prossimo film: dialoghi, linguaggio, anche un po’ di sceneggiatura. Tutto ancora top secret, però è imminente.