Molti pensano che Spotify abbia avuto il merito di distruggere la pirateria nella discografia. Con questo vessillo ben portato, Spotify in realtà si è accaparrata le simpatie di una discografia in crisi ma non ha distrutto assolutamente nulla. Ha solo reso moderna e differente la modalità di raggirare la vecchia pirateria trasformandola in qualcosa di molto più sofisticato. BOT e Spotify Craccato sono solo una parte di quello che oggi avviene, non sappiamo se con o senza la complicità di Spotify stessa, nel sistema di fruizione della musica post Covid. Spotify cambia completamente il modo di fruire la musica e educa (o diseduca a seconda dei punti di vista) le persone all’ascolto di musica in streaming senza essere possessori della musica stessa. Posso solo usare una canzone scaricata da Spotify con un abbonamento o gratuitamente con diverse condizioni. Lo streaming diventa una comodità e posso ascoltare la musica sempre e ovunque. Non importa più possedere fisicamente ogni singola canzone e poter fare tutto con essa. Quindi grazie allo streaming ascoltatori e industria musicale trovano un proprio equilibrio. L’industria torna a macinare molti soldi e gli ascoltatori hanno accesso a qualsiasi canzone nel mondo in qualsiasi momento. Quindi verrebbe da dire tutti contenti. Invece no. Le entrate di Spotify crescono vertiginosamente, quelle delle discografiche idem ma ci sono vittime del sistema che continuano a non capire prestandosi a questo assurdo sistema messo in piedi dallo svedese Daniel Ek: gli artisti! C’è da dire che Spotify non paga direttamente i musicisti. Il servizio di streaming paga i detentori dei diritti, cioè le etichette discografiche e i distributori. Questi a loro volta ne passano una parte ai musicisti. Quanto e secondo quale schema non è noto pubblicamente né reso noto agli artisti.
L'Eurocamera sta pressando Spotify e le piattaforme digitali perché debbano pagare di più artisti e autori ed è stato presentato alla Commissione Cultura un rapporto sull'industria musicale europea. È indubbio però che Spotify ha introdotto diversi “virus” nel sistema musicale contemporaneo. Uno di questi ha addirittura natura psicologica ed è oggetto di studio. Gli ascolti COMPULSIVI. Questa modalità di ascolto falsa completamente il valore del mercato musicale e degli artisti stessi a cui, sempre come concausa, non interessa più costruire una carriera di lunga durata bensì un acchiappo più che posso nel minor tempo possibile. Poi accada quel che accada. Per questa ragione, tra l’altro, gli artisti italiani entrano nelle classifiche globali di Spotify per poi uscirne con la stessa velocità. Spotify ha generato una competizione negativa, malsana, una fissazione per le novità. Si comporta da piattaforma egemone che promuove solo il culto dei numeri e ci ha trasformati in un popolo di poeti e streamer ossessivi. Avete fatto caso alla classifica Spotify a ridosso di Sanremo? Spotify annunciò le dieci canzoni appena uscite più ascoltate a livello globale. Sei pezzi su dieci di quella speciale chart, che si chiama Top Songs Debut Global, erano di italiani e provenivano da Sanremo 2023. Dieci giorni dopo, di quelle canzoni non c’era traccia nelle prime 50 della Top Songs Global tornata ad essere rappresentativa dei maggiori artisti stranieri. E come sto scrivendo da tempo oramai quello è l’esempio eclatante dei criteri che stanno dietro la compilazione delle classifiche di Spotify. Emblematici anche di come sono cambiate le abitudini d’ascolto degli italiani, popolo di streamer, ossessionati dalle novità, che ascolta a ripetizione i pezzi spingendoli ad eccellere tra le nuove uscite internazionali. Spesso ricorrendo a sistemi ammessi da Spotify come, per esempio, gli streaming party digitali organizzati da fan per mezzo di Reinassance, una “community app” dove scegliendo il cantante preferito si può accedere a playlist affinché si generino stream. Playlist fatte a regola d’arte, dove togliendo il volume al telefono la musica “suona” lo stesso in “sostegno all’artista”. Come a dire che nell’epoca del vinile o del cd si corresse ad acquistare compulsivamente milioni di volte lo stesso disco. Poi però con la stessa velocità che abbiamo ascoltato in streaming musica, passiamo ad altre canzoni.
Ma davvero Spotify è così importante? Pur non rappresentando la totalità degli ascolti di musica online, né nel nostro paese né altrove, Spotify è più di un contenitore di musica. Secondo l’indagine Engaging with Music condotta nel 2022 per la Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI), Spotify è usata nel nostro Paese dal 28,8% degli streamer contro il 9,7% di Amazon Music e appena l’1,5% di Apple Music. È qui uno dei temi in premessa: i dati ufficiali di Spotify sono coperti da riserbo a causa della policy globale di Spotify e i rappresentanti italiani hanno le bocche sigillate su tutto. E quindi chi risponde alla domanda su com’è possibile che tanti artisti nazionali compaiano nelle Debut? In Italia ci sono più utilizzatori rispetto ad altri paesi? L’intera nazione, anziani, bambini, tutti sono concentrati nella giornata solo ad ascoltare musica? È per via del mercato nero degli stream? Spotify tace: non si sa nemmeno bene quanti sono gli utenti in Italia. L’unica certezza che abbiamo guardando le classifiche, la fantastica Music Friday, è che la maggior parte degli ascolti li produce quella che chiamiamo Generazione Z. Proprio coloro che ascoltano la musica compulsivamente perché viziati dal mondo dei social e dello stile di vita che li vede costantemente connessi sugli smartphone. Tra l’altro hanno circoscritto la musica a tre generi principali: trap, rap e urban. Hanno ucciso tutti gli altri generi o nel migliore dei casi li hanno relegati a generi di nicchia. Hanno trasformato il cantautorato mono autorale artigianale e centellinato in una produzione industriale, a cadenza settimanale e prodotta se va bene a sei mani. Pur di scrivere ci si avvita a ripetere le stesse cose, gli stessi concetti e gli stessi temi. Gli artisti degli anni ‘80 e ‘90 costretti a travestirsi di un abito urban o rap che non gli appartiene, che si rivolgono a producer, manager e autori lontani dal proprio mondo per paura di perdere posizioni e non rendendosi invece conto di perdere identità. Feauturing costruiti solo per aggregare numeri alla ricerca ancora una volta di streaming e certificazioni. Tutto è FALSO. Tutti lo sanno ma nel nome dell’interesse comune, nel nome del Dio denaro tacciono, accondiscendono e spesso facilitano. Discografiche in testa. Spotify ha una responsabilità enorme in tutto ciò proprio per aver ridotto la musica, in arte, a numeri: ha azzerato la cultura musicale nel nostro paese. Noi non siamo né gli USA né l’Asia né l’Europa, di cui siamo parte come rappresentanti con il livello culturale e scolastico più basso. E adesso che non ne fa più parte devo aggiungere che non siamo nemmeno l’Inghilterra.
Oggi L’ascolto su Spotify è diventato banalmente un modo per manifestare supporto al proprio artista preferito. E pensate: con solo 31 secondi di ascolto. E se aggiungiamo il fattore social, come parte delle strategie di lancio della musica ci rendiamo conto di come oramai la musica è solo Marketing. Su questo tema tornerò prossimamente. Spotify e il mercato nero tra bot e craccamenti vari. Ho analizzato alcuni brani estivi che non nomino per due ordini di ragioni:
1. Non posso mettere la mano sul fuoco che gli artisti siano effettivamente e consapevolmente coinvolti;
2. Qualcuno la potrebbe mettere sul personale e poi sarei costretto a rispondere e reagire. Bene: tranne pochissimi casi, che non riempiono le dita di una mano, avete notato come alcune “hit”, “tormentoni” o come vi piace più definirli, nella loro fase di uscita erano fermi a una giusta dose di streaming tipo 1.5 milioni, 2 milioni max 3 e ci sono rimasti anche per un periodo relativamente breve per poi all’improvviso schizzare a 29/30/40 e oltre milioni in nemmeno due mesi? Alcuni asseriscono che i passaggi radio impattino sullo streaming: io sostengo addirittura l’esatto contrario. Io vado ad ascoltare su Spotify quello che in radio passa poco o raramente o per nulla. Perché dovrei ascoltare su Spotify quello che senza spesa e impegno posso ascoltare su RTL, Zeta o altre radio? Ma ci sta. Può essere. Ma se sommiamo però il numero degli stream Spotify sviluppati nel bimestre luglio / agosto noteremo che l’intera popolazione italiana, tutti, compresi neonati e anziani abbiano ascoltato musica urban, trap e rap su Spotify.
E qui due problemi.
1. I BOT. Questa anomala modalità di generare ascolti fake che è vero che Spotify intercetta, specie se si tratta di emergenti. Ma siamo certi che li intercetta anche quando si tratta di star, anzi di determinate star? Siamo certi che sia totalmente estranea non avendo alcuna possibilità di leggere in trasparenza dati e procedure della piattaforma più importante al mondo? E perché tanta ritrosia nel muoversi in trasparenza? Cosa nasconde Spotify?
2. Spotify Craccato. Oramai lo sappiamo: esiste ed è molto utilizzato. Come vengono trattati gli streaming generati dal programma craccato? E soprattutto: Spotify è davvero estranea a tutto ciò?
I chiarimenti non arrivano e non arriveranno.
È una domanda allora su tutte: non sarà mica il caso di far maturare lo streaming al brano, e quindi alla catena che genera sia nella remunerazione che nelle certificazioni, non a 31 secondi ma a 2 minuti o meglio ancora al totale ascolto? Immagino interi capannoni in India o nei paesi svantaggiati con bassi costi di gestione pieni di pc, smartphone eternamente connessi a generare streaming a 31 secondi per generare fake stream. D’altronde anche questa è pirateria. Allora non è meglio tornare a far lavorare chi stampa cd e dischi o a far pagare non un abbonamento ma, come fa ITunes, l’acquisto del brano? Vorrei vedere la fine che farebbero molti artisti e le conseguenti certificazioni. E soprattutto: ma quanto sarebbe bello essere proprietari della propria musica al posto di essere dei meri, e a volte fake, ascoltatori impulsivi? Inoltre, ormai con il sistema delle playlist di Spotify, si è perso anche il rispetto nei confronti dell’ordine dei brani all’interno di un album che l’artista stesso ha pensato di dare e al conseguente senso che ha quell’ordine di brani. Basti pensare a Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band dei Beatles! Un concept album in cui la successione di ogni brano dà vita ad una narrazione, dove ogni brano è stato inserito in quel preciso ordine per una ragione ben precisa. Dove ogni brano è collegato dal brano precedente e dal successivo. La mania del “fai da te” e della personalizzazione a tutti i costi ha distrutto anche la fruizione della musica come opera d’arte. Ma d’altronde, possiamo paragonare “Lucy in the Sky with Diamonds” con un “Ti sta scomparendo il tanga in mezzo alle chiappe?”. Mmm. Spotify sarà argomento di ulteriori approfondimenti in questa rubrica prossimamente.