La questione del Kosovo è, se possibile, tanto controversa e intrecciata quanto quella dell’Ucraina, e in questi ultimi mesi le tensioni con la vicina (e più forte) Serbia si sono ravvivate. La spaccatura è tale che in queste ore il capo di stato maggiore dell’esercito serbo, Milan Mojsilovic, ha proposto di schierare truppe al confine kosovaro. Il rischio del conflitto, secondo molti analisti, potrebbe diventare una realtà di fatto prima di quanto si voglia ammettere, aprendo una seconda ferita nel cuore dell’Europa.
Per evitare di retrodatare eccessivamente l’inizio della catena di eventi che coinvolgono i due Paesi, si potrebbe tornare al 2008, anno in cui il Kosovo proclamò la sua indipendenza. Una scelta molto complessa che venne accolta da soli 99 Paesi su 193 delle Nazioni Unite, con pesanti assenze tra i favorevoli, come Brasile, Russia e Cina. Non solo, in più di un’occasione Belgrado ha negato ogni possibilità di riconoscere l’indipendenza di quei territori, un tempo sotto il potere politico serbo. Oggi in Kosovo la transizione verso l’indipendenza è legata ai rapporti che il governo kosovaro deve gestire con la comunità serba nella zona settentrionale del Paese, ma le ambiguità e la diffidenza sembrano insormontabili da entrambi i lati.
In questi mesi ci sono state dichiarazioni e azioni molto pesanti da parte dei governi coinvolti, con molta preoccupazione da parte dell’Europa, che vede la Serbia, un tempo intenzionata a far parte del blocco occidentale, sempre più incline a istaurare relazioni amichevoli con Mosca. Tra i vari espedienti per riaccendere la crisi, ha avuto un ruolo di primo piano la questione delle targhe serbe. Alla fine degli anni Novanta iniziò il conflitto tra l’esercito jugoslavo a guida serba e i dissidenti kosovari albanesi, che portò all’intervento NATO e all’indipendenza dichiarata nel 2008.
Tuttavia, sul territorio kosovaro rimase ed è presente ancora un’importante comunità di serbi, circa 100mila individui oggi, molti dei quali circolano ancora con delle auto immatricolate prima del 1999 e che dunque portano una targa serba. Novembre è stato un mese di incertezze e di tentativi falliti di accordarsi sul problema, vista l’estrema opposizione del Kosovo ad accettare mezzi di cittadini kosovari immatricolati con targa “estera”. Solo alla fine del mese la situazione si è sbloccata: il governo kosovaro non obbligherà gli attuali possessori di auto con targa serba a usare una diversa targa kosovara, mentre il governo serbo non rinnoverà le licenze per le targhe in uso, così da avviare un processo di transizione, come proposto dall'alto rappresentante per gli Affari esteri europeo Josep Borrell.
Ma, proprio come qualunque espediente, si fa presto a sostituirlo con altri. L’arresto a inizio dicembre di un poliziotto accusato di cospirazione e terrorismo secondo le autorità di Pristina ha gettato benzina sul fuoco. Come si è detto, il nord del Kosovo è fonte di forte scetticismo da parte del governo, che si dice intenzionato a istaurare la piena democrazia su tutto il territorio e parla della presenza di strutture parallele vicine alla Serbia nella parte nord del Paese. Tra le accuse dirette al governo di Belgrado anche quella di aver inviato truppe in appoggio ad attività criminali nei grandi comuni del Nord, come a Zubin Potok, una delle quattro località più importanti dell’area settentrionale.
Proprio in questa città, inoltre, sarebbe stata confermata dalla Kfor, la forza NATO in Kosovo, una sparatoria che non ha fatto altro che acuire la diffidenza reciproca e la volontà di apparire forti agli occhi del governo nemico. A conferma dell’attuale crisi un recente vertice tra il presidente serbo Aleksandar Vucic, la premier Ana Brnabic e i vertici militari che, per quanto poco plausibilmente porterà a un’offensiva diretta, potrebbe dare il via a una nuova fase, più aggressiva, della crisi.