È iniziato tutto venerdì, quando gli agenti dello United States Immigration and Customs Enforcement – abbreviato in Ice, l’agenzia federale che si occupa del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione – hanno svolto tre vistose operazioni per trovare e arrestare presunti migranti irregolari. Le missioni hanno riguardato diverse aree di Los Angeles, principalmente nei quartieri abitati in maggioranza dai latinos. All’ondata di retate a tappeto ordinate dal governo è seguita un serie di proteste che in poche ore si sono trasformate in veri e propri scontri con la polizia. Gli agenti hanno tirato fuori manganelli, lacrimogeni e, soprattutto, proiettili di gomma sparati contro una folla che cresceva per numero e tensione. I disordini sono scoppiati ufficialmente nelle prime ore di sabato, quando le forze dell’ordine hanno cercato di disperdere un gruppo di manifestanti radunati davanti alla stazione di polizia di Glendale, un sobborgo di Los Angeles. In quel frangente, oltre a diversi attivisti, anche alcuni giornalisti sono stati colpiti dai proiettili di gomma e dagli spray al peperoncino, suscitando critiche per l’eccessivo uso della forza, come ha riportato il Guardian. A San Francisco, pochi giorni dopo, la protesta si è replicata con blocchi stradali e barricate improvvisate, sottolineando come l’onda lunga del dissenso contro i raid federali si stia rapidamente espandendo in tutta la California. La violenza urbana è degenerata in veri e propri episodi di guerriglia: automobili incendiate, negozi saccheggiati e decine di arresti, segnando una delle peggiori crisi civili nella storia recente della città.

Ad aggravare la situazione è arrivata la decisione di Donald Trump di inviare i militari riservisti della Guardia Nazionale in California senza il consenso del governatore californiano Gavin Newsom, portando la tensione a livelli altissimi e scatenando uno scontro istituzionale senza precedenti. Trump ha fatto leva sull’Insurrection Act del 1807, una legge che consente al presidente di mobilitare le forze armate federali in caso di ribellioni o disordini civili gravi. Ma qui è proprio la lettura di questa legge ad accendere il conflitto: secondo Trump e i suoi consiglieri, la gravità degli scontri giustifica l’intervento anche senza l’ok dello Stato interessato. Newsom e i legali della California, invece, respingono questa interpretazione, sottolineando che l’uso della Guardia Nazionale senza la richiesta o il consenso del governatore è un abuso e un superamento del principio di autonomia federale sancito dalla Costituzione. Mentre esperti e giuristi si dividono sul punto, il risultato pratico è un blocco politico e legale che alimenta la crisi e complica ulteriormente la gestione dell’ordine pubblico. Il governatore californiano ha annunciato azioni legali per fermare quella che definisce una “militarizzazione della protesta civile” e un tentativo di intimidazione politica da parte di Washington, ribadendo che la sovranità degli Stati non può essere calpestata a piacimento.

Il convitato di pietra nello scontro tra Trump e Newsom è senza dubbio Tom Homan, l’ex direttore dell’Ice che Trump ha definito più volta lo “zar del confine” statunitense. Homan è la figura simbolo della linea dura contro l’immigrazione clandestina, il volto severo che ha portato avanti durante il primo mandato Trump una politica di deportazioni aggressive, compresa la separazione di famiglie e la detenzione di migranti in condizioni duramente criticate a livello internazionale. Ora Homan è tornato alla Casa Bianca in veste di consulente speciale e ha individuato nella California – che è anche uno stato storicamente democratico – l’obiettivo più importante nella lotta all’immigrazione. Ha definito lo stato “un rifugio per criminali” dove è dovere del governo “ristabilire l’ordine con fermezza”. L’ascesa di Homan conferma come la strategia di Trump stia sempre più passando sopra l’autorità degli Stati federali, calpestando autonomie e spazi di mediazione per inseguire una linea politica che punta a galvanizzare la base più dura, ma rischia di spaccare il Paese e alimentare un conflitto sociale destinato a durare. Ecco perché Los Angeles è diventata l’epicentro di uno scontro non solo tra polizia e manifestanti, ma tra due visioni di Stato: una federalista, che reclama autonomia e rispetto delle proprie regole, e una centralista, che in nome della “sicurezza nazionale” tenta di imporre la propria legge anche oltre i confini costituzionali. Trump ha fatto della guerra all’immigrazione il proprio cavallo di battaglia, cercando ogni volta di superare i limiti imposti dalle istituzioni statali e giudiziarie. Le proteste in corso sono la risposta più diretta a questa strategia che molti definiscono non solo dura ma autoritaria, pronta a usare la forza militare contro cittadini e giornalisti, e che già lascia intravedere un’America divisa e in tensione. Tom Homan è il braccio operativo di questa crociata: un uomo che non si limita a fare il poliziotto, ma che spinge Trump a spingere ancora di più, trasformando la lotta all’immigrazione in un conflitto aperto che si riflette nella carne viva di città come Los Angeles.
