Immaginate di essere il Paese più potente del mondo, il più forte militarmente, il più ricco, e di confinare con un vicino che avete sempre considerato un narcostato, o peggio, uno Stato fallito, epicentro di gran parte dei vostri problemi, nonché fonte di immigrazione clandestina, gang criminali e fiumi di droga. Ok, che cosa fareste se quel vicino iniziasse a crescere, crescere, crescere - sia economicamente che demograficamente - proprio nel momento in cui voi attraversate una reiterata fase declinante? Sareste preoccupati all'idea che possa rubarvi il posto e farvela pagare con gli interessi, e per questo iniziereste a prendere adeguate misure per proteggere voi e danneggiare lui, prima che sia troppo tardi. Più o meno è quello che sta silenziosamente accadendo tra gli Stati Uniti e il Messico. Da un lato abbiamo gli Usa che - con la loro grancassa mediatica - continuano a lanciare allarmi sui migranti messicani, sulla violenza proveniente da oltre confine, sull'urgenza di combattere l'afflusso di fentanyl e il narcotraffico made in Mexico e, soprattutto, a definire il gigante latino come una nazione a un passo dal baratro. Dall'altro troviamo invece un Paese in via di sviluppo che sogna, nel medio periodo, di trasformarsi in una potenza regionale per poi, un domani molto lontano, entrare nel club delle superpotenze. La verità è che il Messico sta attraversando un momento geopolitico favorevole. E che Donald Trump è terrorizzato all'idea che gli Usa debbano, presto o tardi, accettare il fatto compiuto.

La realtà ci dice che il pil messicano ha registrato una crescita media del 2% dal 1994 al 2023. E che nel 2024 la sua economia ha attirato una cifra record di 36,9 miliardi di dollari in investimenti diretti esteri (+1,1% su base annua). È vero, nell'ultimo anno c'è stato un rallentamento, visto che l'aumento del pil del Paese si è fermato all'1,5% rispetto al 3,2% del 2023 e al 3,7% del 2022, ma la popolazione in crescita (oltre 130 milioni di persone totali), una forza lavoro giovane e un governo che da tempo sembrerebbe essersi smarcato da Washington per imboccare altre strade, rendono il Messico un attore da monitorare con la massima attenzione. L'agenda di politica estera del presidente in carica, Claudia Sheinbaum, in continuità con quella del suo predecessore Amlo (Andres Manuel Lopez Obrador) e del partito di sinistra Morena, è percepita da alcuni osservatori come anti Usa (o almeno post Usa centrica) e pro Brics (gruppo di Paesi in via di sviluppo che comprende, tra gli altri, Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) per una serie di motivi chiari. Innanzitutto Miss Sheinbaum ha proposto una riforma costituzionale per vietare l'ingerenza straniera negli affari interni, con evidenti allusioni agli Stati Uniti, accusati storicamente di interventismo in Messico e in America Latina. Ha poi richiesto che l'ambasciatore statunitense a Città del Messico non comunichi direttamente con funzionari del governo ma solo tramite il ministero degli Esteri. Ha quindi promosso una visione multipolare degli affari globali, criticando l'attuale struttura del Consiglio di Sicurezza dell'Onu (dominata dalle potenze occidentali) e chiedendo maggiore rappresentanza per il cosiddetto “Sud globale”. La ciliegina sulla torta? Sheinbaum, così come Morena, sostiene l'idea di un mondo meno centrato sugli Usa e più equilibrato tra potenze emergenti...

Secondo Forbes l'economia del Messico è la 15esima più grande al mondo, dietro a Corea del Sud e Australia, ma avrebbe un enorme margine di crescita. Le tensioni geopolitiche tra Usa e Cina hanno spinto diverse aziende cinesi a investire nel territorio messicano, così da produrre in loco per poi esportare la merce nel mercato statunitense bypassando dazi e tariffe. Nonostante il clamore sollevato da Washington – che non ha alcun piacere di vedere gli emissari del Dragone nel proprio “cortile di casa” – la presenza cinese resta irrisoria se confrontata con quella di Stati Uniti – principale nazione di origine degli investimenti (45%) - Giappone, Germania, Canada e Spagna. Secondo il ministero dell'Economia messicano, infatti, gli investimenti diretti esteri cinesi in Messico – concentrati soprattutto nel settore manifatturiero e infrastrutturale - nel 2023 sono stati di circa 151,4 milioni di dollari, rappresentando però solo lo 0,4% del totale ricevuto dal Paese: quanto basta, però, a insospettire l'amministrazione Trump. Unendo tutti i punti fin qui elencati, si capisce come il Messico abbia tutte le carte in regola per diventare una potenza tale da infastidire gli Usa. E chissà che un domani molto lontano la situazione non possa sfuggire di mano ai due vicini e trasformarsi in un conflitto aperto. Fantapolitica? Al momento forse sì. Ma la traiettoria politica adottata dagli Stati Uniti di Trump è imprevedibile. E imprevedibile è anche il futuro corso degli eventi...

