Novembre 2008. Sto iniziando a redigere la mia tesi triennale di filosofia del linguaggio su un confronto tra Noam Chomsky e Dereck Bickerton rispetto alla teoria dei linguaggi naturali. Mi dico … ci provo. Scrivo una mail a Chomsky, tanto male che va non risponde … invece, cinque minuti dopo, mi dice “se vuole per una intervista Skype ci sono”. E così è andata. Chomsky, forse l’intellettuale vivente più citato e famoso al mondo, il celebre linguista e pensatore critico dell’anarchia, è innanzitutto un maestro di umiltà. È abbastanza chiaro, oltre che da questo inutile aneddoto personale, anche da un ultimo suo libro pubblicato da Ponte alle Grazie che ci regala un'altra raccolta di interviste, curata da C.J. Polychroniou, intitolata Un altro futuro è possibile. In questo volume, Chomsky, con la sua lucidità disarmante, affronta le sfide più urgenti del nostro tempo: dalla crisi climatica all'ombra minacciosa della guerra nucleare, passando per le pericolose dinamiche del nuovo ordine mondiale e l'ascesa inquietante del neofascismo. E anche, ovviamente, una spiegazione decisa sul perché le intelligenze artificiali supereranno ovviamente Homo Sapiens in certi compiti, ma tutto sono fuorché “intelligenze”. Il libro si configura come un'opera polifonica, dove le voci di Chomsky e dell'economista Robert Pollin si intrecciano in un dialogo serrato e appassionato. Le loro riflessioni, intrise di un "ottimismo della volontà" gramsciano, ci spingono a credere che un futuro diverso sia ancora possibile, a patto di abbracciare l'attivismo radicale come strumento di cambiamento. Chomsky, che nell’ultimo anno è stato dato per morto almeno due volte, non si tira indietro di fronte alla dura realtà. Anzi, la analizza con la spietata precisione che lo contraddistingue sempre nei suoi lavori politici, smascherando le ipocrisie del potere e le trappole ideologiche che ci impediscono di agire. Il suo pensiero, affilato come una lama, critica le false promesse delle "tecnologie salvifiche" e mette in guardia contro la miopia di una politica miope, asservita agli interessi delle élite economiche.
Come sempre in Chomsky, basti pensare al suo celebre dibattito con Michel Foucault sulla natura umana (su YouTube fa da anni incetta di visualizzazioni), la pars destruens è minoritaria e la decostruzione non vince mai rispetto alla possibilità di una strategia di possibilità strategiche e piani d’azione. Un altro futuro è possibile non è dunque solo un atto d'accusa. È anche una chiamata all'azione, un invito a riscoprire la nostra umanità e a lottare per un mondo più giusto e sostenibile. Chomsky ci ricorda che la transizione ecologica non può essere solo una questione tecnica, ma deve essere accompagnata da una transizione corretta che protegga i lavoratori e le comunità più vulnerabili. Pollin e Chomsky, infatti, sottolineano come la transizione verso un'economia a zero emissioni possa generare nuovi posti di lavoro, ma riconoscono anche la necessità di proteggere i lavoratori e le comunità che subiranno le conseguenze negative della dismissione dell'industria fossile. Vengono quindi proposte misure concrete per garantire ai lavoratori un nuovo impiego, un salario equivalente e la tutela delle pensioni, ispirandosi al lavoro di Tony Mazzocchi, pioniere del concetto di "transizione giusta".

In questo senso, il libro si fa portavoce di un nuovo umanesimo, un movimento che mette al centro la cura per il pianeta ma anche i suoi abitanti (umani e non, a dire il vero). Un umanesimo che non si chiude in un'astratta contemplazione, ma che si sporca le mani, che scende in piazza, che si fa traduzione di filosofia in atto pratico e incarnato. Emerge, tra le righe delle varie interviste, una critica radicale al capitalismo neoliberista, un sistema che Chomsky definisce "selvaggio" e “suicida" ripercorrendo i temi di tutto il suo lavoro sulla anarchia. Un sistema che, nella sua logica di profitto illimitato, sta distruggendo il pianeta e minacciando la nostra stessa sopravvivenza (Chomsky non esita a denunciare le derive autoritarie e le politiche neoliberiste che, a suo avviso, minacciano le libertà civili e alimentano le disuguaglianze sociali in modo irreparabile facendoci litigare su falsi “moralismi” che nulla hanno a che vedere con le reali questioni etiche). Chomsky non si arrende alla disperazione, e invita tutti a non cedere al vittimismo o al “non si può più fare nulla”. Crede nella forza della ragione, nella capacità umana di immaginare e costruire alternative. E ci invita a fare lo stesso, a riscoprire la nostra "facoltà del linguaggio" non solo come strumento di comunicazione, ma anche come strumento di pensiero critico e di azione politica (in una giunzione finale, per così dire, dei suoi lavori da linguistica con quelli da filosofo politico).
Un altro futuro è possibile (che funge da seguito al libro Poteri illegittimi) è un libro necessario, non un pugno nello stomaco ma una prova di come la potenza del pensiero possa ancora scandagliare ventagli di possibilità alternative. Un'opera che ci ricorda che il futuro non è scritto, che dipende dalle nostre scelte e dal nostro impegno. E che, nonostante tutto, la speranza è ancora possibile e che anche i più pessimisti (come il sottoscritto) sono moralmente obbligati a fare del loro meglio per migliorare le condizioni future. In questo contesto, un ruolo speciale nel libro ha ovviamente il pericolo di guerre sempre più grandi: la guerra in Ucraina e le tensioni geopolitiche tra Stati Uniti e Cina vengono esaminate con uno sguardo critico. Noam Chomsky invita a non semplificare le dinamiche internazionali e a considerare le responsabilità delle diverse potenze in gioco, sottolineando il pericolo di una nuova guerra fredda e l'importanza della diplomazia per la risoluzione dei conflitti. Non ci sono bianco e nero, in questo libro, ma sfumature di grigio: essenza fondamentale del rigore analitico di un filosofo e linguista che ha attraversato e capito gli ultimi cento anni meglio di chiunque altro.
