Se questa non è la “Terza Guerra Mondiale combattuta a pezzi” menzionata da Papa Francesco, poco ci manca. È la diretta conseguenza del disordine globale venutosi a formare dopo la fine della Guerra Fredda e dell’era unipolare a guida statunitense (1991-2001), terminata con l’attacco alle Torri Gemelle. L’ultimo tassello della “Guerra mondiale a pezzi” è l'attacco di Hamas a Israele con l’ombra dell’Iran. "Stiamo lavorando perché non si allarghi il conflitto”. Dichiarazioni del vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani, a prova del fatto che l’attacco a sorpresa di Hamas contro Israele di sabato potrebbe ampliarsi in una maniera pericolosa e imprevedibile. Mentre gli Stati Uniti inviano la portaerei Use Gerard Ford nel Mediterraneo orientale e promettono armi e munizioni a Israele, sui social circolano le immagini spaventose dei terroristi palestinesi che invadono un festival-rave dove centinaia di israeliani si erano accampati per la festa di Shemini Atzeret nell'area del kibbutz Reim. Un massacro con un bilancio tragico di 260 morti, centinaia di feriti e diversi giovani portati a Gaza come ostaggi. Che sia, proprio come fu l’assassinio di Francesco Ferdinando a Sarajevo, il 28 giugno 1914, questa la “scintilla” che porterà a nuova "Guerra mondiale”, più di 100 anni dopo? Forse ci siamo già: dopotutto, chi combatteva la Prima Guerra Mondiale non era conscio del fatto di essere precipitato in un conflitto mondiale. Spetterà semmai agli storici giudicarlo. I timori evocati da Tajani rispetto a un allargamento del conflitto sono fondati e non sono campati per aria. Soprattutto per il coinvolgimento diretto dell’Iran. Secondo quanto riferito dal Wall Street Journal, infatti, i "funzionari della sicurezza iraniani hanno contribuito a pianificare l'attacco a sorpresa di Hamas contro Israele sabato e avrebbero dato il via libera all'assalto durante una riunione a Beirut lunedì scorso", secondo quanto affermato da membri di Hamas e Hezbollah, il gruppo paramilitare sciita sostenuto da Teheran. Nulla di sorprendente: è stato lo stesso portavoce di Hamas, Ghazi Hamad, ad ammettere ai microfoni della Bcc che la Repubblica Islamica avrebbe dato il suo sostegno all’operazione di sabato 7 ottobre.
Fine dell’illusione: il “ritorno” prepotente della storia
Negli ultimi trent’anni ci siamo cullati, come spiega l’illustre politologo Robert D. Kaplan ne La mente tragica. Paura, destino, potere nella politica contemporanea (Marsilio editore), nella “sciocca supposizione per cui la fine della Guerra fredda avrebbe portato alla diffusione senza ostacoli nel mondo intero della democrazia e del libero mercato”. Quella Fine della storia evocata da Francis Fukuyama e da altri studiosi dell’epoca. All’ipotesi, scrive Kaplan, “virtualmente sostenuta da tutta l’élite politica della East Coast, secondo cui, se avessimo commerciato con la Cina, e la Cina si fosse arricchita, la società e il governo cinesi sarebbero diventati liberali; e all’ipotesi, sempre ampiamente sostenuta dalla stessa élite, che l’allargamento della Nato all’Europa centrale e orientale avrebbe portato a società universalmente liberali, Russia compresa”. Invece, la geopolitica data per morta è tornata, e con essa la storia, con cui ora dobbiamo fare i conti, in un mondo caratterizzato da un (dis)ordine “multipolare”, con più stati a contendersi il potere e l’egemonia. Principalmente Stati Uniti, Cina e Russia, ma non solo. Un sistema che, come spiega il politologo John J. Mearsheimer, presenta più situazioni di conflitto potenziale. Un dato di fatto che è ora sotto i nostri occhi perché durante la Guerra Fredda lo spettro di un conflitto nucleare tra Stati Uniti e Unione Sovietica ha - paradossalmente - generato un equilibrio di potere che ha scongiurato uno scontro diretto. Ora, con più attori in gioco, quell’equilibrio non esiste più. Basti pensare che, a differenza della Guerra Fredda, ora i Paesi dotati di armi atomiche sono Russia, Stati Uniti d’America, Cina, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, Israele, Corea del Nord: insieme, queste nazioni possiedono 12.700 testate nucleari.
La guerra in Ucraina e lo spettro di Taiwan
Quella in Ucraina è già, di per sé, una guerra per procura mondiale che coinvolge, da una parte, la Nato a guida statunitense a sostegno delle truppe di Kiev e, dall’altra, la Federazione russa. Mosca che impiega droni iraniani per colpire Kiev e altre città ucraine, riceve attrezzature da compagnie cinesi e ha stretti rapporti con la Corea del Nord. Oltre a godere del sostegno diplomatico di molti Paesi africani. In Ucraina il rischio di un escalation - anche nucleare - non è da escludere, anche per un errore di calcolo degli attori coinvolti, eventualità che in una guerra non va mai sottovalutata. Come scrive Stephen Bryen, uno dei maggiori esperti dell’ambito della Difesa degli Stati Uniti, “la prospettiva di una guerra allargata comincia a farsi strada anche nella coscienza dei leader europei, se non negli Stati Uniti”. Una “Terza guerra mondiale combattuta a pezzi” potrebbe però scoppiare - con conseguenze nefaste - in Asia tra Stati Uniti e Cina. Come scrive Robert D. Kaplan, a parte il conflitto con la Russia in Ucraina, “oggi davanti a noi si agita lo stretto di una guerra calda con la Cina per il controllo su Taiwan, sul mar Cinese Meridionale, sul Mar Cinese Orientale, o su tutti e tre insieme. Non prendiamoci in giro: un conflitto tra le economie più grandi e più sviluppate del piante, anche se di pochi giorni, scatenerebbe il panico nei mercati finanziari globali. Il numero di morti tra le fiammi degli attacchi missilistici sarebbe incalcolabile”. La drammaticità del momento è accentuata dalla totale mancanza di leadership dell’élite politica occidentale. Abbiamo bisogno di statisti, che non abbiamo. Ma cos’è uno statista? Lo spiega Henry Kissinger: “Gli statisti pensano e agiscono all’intersezione di due coordinate: l’asse tra passato e futuro, e l’asse tra i valori profondi e le aspirazioni dei popoli che essi governano”. Qualcuno vede leader politici con queste caratteristiche?