Vediamo un po’: nel 2035 avrò 74 anni. Ammesso di essere ancora vivo o almeno di godere buona salute non è detto mi rinnovino la patente anche se i vecchietti qui sono tra i pochi che ancora si comprano la macchina. Non tutti i mali verrebbero per nuocere, in caso di rinuncia o divieto a guidare non sarei costretto ad assistere allo scempio che si va configurando, la fine del motore a scoppio alimentato a benzina (già i diesel non hanno poesia) e il conseguente trionfo dell’elettrico. Io non voglio rendermi complice, quindi meglio affrettarsi a fare ciò che si deve e poi chiudere in bellezza, con una sgassata.
Già me la immagino la situazione qui in Italia, dove o mancano i chiodi o il martello, figurarsi le colonnine di ricarica nelle città o in autostrada. Dicono che così l’automotive avrà un impulso deciso alla ricerca, si sonderanno nuove strade per l’ottimizzazione in modo da non stare due ore ad aspettare che la batteria riprenda vita, sempre sperando non ti abbia mollato per strada. Studieranno qualcosa per emettere suoni o rumori, in modo da avvisare almeno della presenza. Insomma è molto probabile che nel 2035 il panorama dell’elettrico non sarà come quello di oggi, pionieristico e iniziale, che ci abitueremo (anzi si abitueranno) anche a questo che sembra peggio del Var nel calcio. Tutto bene, se il mondo va in una direzione difficile pensare di fermarlo, ma che non piaccia, che tolga ogni spunto letterario, che sia di assoluta modestia estetica come le auto del Far East, come tutto ciò che si guiderà da solo consentendoci così di non staccare occhi e dita dalla versione futura dello smartphone, è altrettanto legittimo.
Io sono un uomo del ‘900 e meno male. Sono nato in un’epoca in cui il meccanico era tra le professioni più rispettate nel quartiere, un personaggio capace di intuire lo stato di salute del motore, cacciavite in tasca per regolare il minimo, chiavi da 12 e 14 per regolare i bulloni. Il meccanico della mia moto era uno che ti trasformava il sound in uscita, ti diceva cosa fare e cosa no, parlava poco, non aveva tempo da perdere e un novellino come me ci ha messo anni a conquistare la sua fiducia. Ora sono vestiti come chirurghi o infermieri, più tecnici che artigiani, asettici come buona parte delle vetture in commercio, esperti in elettronica diventata la componente essenziale dei veicoli, purtroppo pure della moto che se ti rompe per strada l’unica è chiamare il carroattrezzi, mentre da ragazzo se si bruciava il fusibile lo aggiustavo con la carta stagnola delle sigarette.
Mio nonno fumava 60 nazionali al giorno e vedeva un film al giorno. Quando misero il divieto al cinema non è mai più andato in una sala. Farò così anche io, quando toglieranno i motori a benzina smetterò di guidare. Noi siamo figli del quattro in uno, dei terminali cambiati, di scarichi rumorosi e tarocchi. Inquinanti? Si può darsi, e allora? Allora non basta che l’aspettativa di vita oltrepassi gli 80 anni? Quanto vogliamo ancora conservarci incartapecoriti ed elettrici?
E’ di Giovanni Arpino una delle più belle definizioni, “il respiro asmatico della metropoli”. Che sono meno inquinate oggi di un tempo, semplicemente perché nella Londra di Dickens nessuno controllava. Vuoi meno fumi? Vai in campagna, dove speriamo nessun vigile del 2035 verrà a scassarti i maroni perché hai ancora un pickup degli anni ’10.
Il problema è serio: non c’è giorno in cui non si insinui pericolosamente qualche prova tecnica di dittatura. Io vengo dalla generazione del vietato vietare, non mi convertirò all’elettrico perché devo sentire il rumore e aspirare l’odore di benzina e se finisce il mondo prima, beh, pazienza.