“Ancora aspettiamo giustizia”. Era il 20 marzo del 2016 quando sull’autostrada A7 spagnola un autobus con a bordo 57 studenti di ritorno da Valencia a Barcellona si schiantò contro il guardrail. Persero la vita 13 studentesse in Erasmus tra i 18 e i 25 anni, tra cui sette italiane. A sei anni di distanza i genitori delle vittime chiedono ancora giustizia. L’autobus con a bordo i giovani di ritorno da Valencia a Barcellona si ribaltò e nello schianto morirono 13 ragazze, tutte studentesse che partecipavano al programma Erasmus. I loro nomi sono Valentina Gallo, Francesca Bonello, Elisa Valent, Elena Maestrini, Lucrezia Borghi, Serena Saracino, Elisa Scarascia Mugnozza, Julia Mang, Chloé Chouraqui, Christina Unger, Mohina Abdusaidova, Phuong Anh Tran e Verónica Matcovici. Nonostante il tempo passato, però, la magistratura spagnola non ha ancora individuato un responsabile per l’accaduto.
I familiari chiedono che venga riconosciuto un responsabile, solo che il giudice istruttore di Amposta, per tre volte, ha cercato di archiviare il caso: a novembre 2016, a settembre 2017 e a ottobre 2019. Solo grazie alla tenacia dei genitori, che ogni volta hanno impugnato la decisione del giudice alla Corte d’Appello di Tarragona, a settembre 2020 si è chiusa definitivamente la fase istruttoria e il conducente del pullman è stato rinviato a giudizio. Da allora è passato un altro anno e mezzo e le famiglie sono in attesa dell’apertura del processo, ma al momento il tribunale non ha comunicato alcuna data per una prima udienza. I genitori di Elena Maestrini, Gabriele e Roberta, in questi giorni sono tornati in Spagna sul luogo dell’incidente, a Freginals in Catalogna, dove hanno messo in atto un’inedita forma di protesta installando un grande cartello giallo a bordo dell’autostrada A7 dove è accaduto l’incidente, chiedendo nuovamente giustizia per le 13 giovani vittime della strage. “Verità e giustizia per le studentesse Erasmus - 20 marzo 2016” si legge in spagnolo sul grande cartellone al chilometro 333, con cui i familiari sperano di attirare l’attenzione degli automobilisti e sensibilizzare l’opinione pubblica spagnola. “Forse non è del tutto legale - ha detto Gabriele Maestrini - ma non ho niente da perdere”. E poi ha lanciato un appello: “Non lasciateci soli e aiutateci a mantenere alta l’attenzione sull’accaduto”. Non solo, perché ha annunciato che il 21 marzo tornerà per la terza volta a protestare davanti all’Ambasciata spagnola a Roma.