La sconfitta è già un dato di fatto nella guerra russo-ucraina. La sconfitta di equilibri che sembravano consolidati, la sconfitta di un modo di pensare la realtà. Per Antonello Caporale, saggista e giornalista del Fatto Quotidiano, quanto sta accadendo dovrebbe far riflettere l’Occidente sulle proprie colpe, “una considerazione che non sposta di un centimetro quelle dell’aggressore che è chiaramente Putin, ma essere arrivati a un passo dal conflitto mondiale e nucleare è già appunto una sconfitta, un disastro per l’economia, per le occasioni che diamo alle nuove generazioni. E per fare cosa, per risolvere cosa? Basterebbe una manciata di bombe atomiche per annientare il pianeta, gli arsenali contano 15mila testate nucleari e dobbiamo evitare assolutamente che il fuoco divampi: anche se abbiamo tutti chiaro chi è l’aggressore e chi è l’aggredito, poi non riusciamo a immaginare quale sia la migliore soluzione del conflitto. Che la guerra continui? Che l’Ucraina o viceversa la Russia abbiano la meglio? E con quali costi umani? Cos’è meglio per l’Occidente? Meglio il negoziato o la fermezza della resistenza?”.
Il mondo, insomma, ha paura.
E davanti alla paura dividiamo il mondo in bene e male. Non vogliamo ascoltare nessuna voce contraria. Putin e l’aggressione vanno condannati, questo è il dato di partenza, ma sulla base di questo a nessuno importa più dei profili fascistici della gestione Zelensky né analizzare cosa sia accaduto nel Donbass: l’unica cosa che conta ora è dipingere di nero il diavolo ex rosso che era Putin.
Il quale, sino a poche settimane fa, era indicato da tanti quale esempio da seguire.
Putin ha corrotto e corroso l’Occidente, ha fatto affari con tutti coloro che oggi lo dipingono come un diavolo. Singolare, no? Tra l’altro è stato a lungo l’amore delle destre del mondo: più eri a destra, più avevi bisogno di Putin, più sostenevi l’uomo forte e incrollabile, colui che aveva aperto la Russia al mercato. Ricordiamoci che a fine gennaio, meno di un mese prima dell’invasione, Putin aveva partecipato in videoconferenza a un incontro organizzato dalla Camera di commercio italo-russa, al cospetto di numerosi imprenditori italiani che grazie a lui avevano fatto affari d’oro. Meccanica, aeronautica, ingegneria aerospaziale, moda, turismo, lifestyle, alberghi, energia. Chi era Putin ieri? Business as usual…
Ora le conseguenze. A che prezzo?
Questa è l’amoralità dell’Occidente. Non abbiamo morale, non ce ne frega niente, non è un problema nostro. E allora perché ieri eravamo amorali e oggi vestiamo i panni di chi è eticamente responsabile? Io non credo alla buona fede dell’Occidente.
A cosa crede?
Alla paura che l’Occidente ha nel momento in cui il conflitto gli scoppia in casa e tifa per allontanare un guaio che solo adesso scopre, ma di cui fino a ieri non si è accorto. Questa è amoralità, questa è indignazione selettiva.
Ciò che prima andava bene, oggi non più.
Ci siamo anche dimenticati della pandemia. Ma tra aprile e maggio 2020 un contingente militare russo venne a Bergamo e Brescia a sanificare le nostre strutture, ospedali e residenze per anziani. Non è che fossero venuti a piazzare microspie, ma a pulire e a lavare, ad aiutarci quando non avevamo nulla. Erano i nostri eroi, il governo li aveva anche ringraziati.
Questo conflitto ha provocato altri eclatanti cambi di narrazione?
Pensiamo ai profughi: la Polonia li accoglie, li ama e li sfama perché sono ucraini, però costruisce un lungo muro di contenimento per bloccare l’arrivo di afghani, siriani, curdi che vengono trattati come animali. L’Occidente deve decidere: si fa la realpolitik che significa parlare e fare affari con tutti, democratici e autocrati, di destra e di sinistra, o si mettono dei paletti? Si parla o no con chi ammazza e chi tortura? Se lo si fa, ha un costo che va sostenuto ed è un costo politico e civile che abbiamo dimenticato.
Hai i soldi? Fai quello che vuoi.
Questo è il volto amorale dell’Occidente e su questo non ci interroghiamo mai, sempre affamati dall’ultima emergenza. Anche oggi: di questo non si parla, ci si divide solo su cosa fare. Ma non risolveremo nulla: un minuto dopo la fine del conflitto tutti vorranno ritrovare al loro posto le commesse che hanno perduto e non fregherà nulla di Putin o di chi sarà eventualmente al suo posto.
Serve guardare la complessità.
Serve amarla, è la parola chiave anche per riflettere su una guerra. Non si può chiedere la complessità al corrispondente di guerra che lavora tra le sirene e le bombe di Kiev: lui può raccontare il disastro, la rabbia per ciò che succede e che lo potrebbe uccidere, ma a chi la guerra la osserva da lontano è richiesto uno sforzo maggiore, per capire come si è arrivati al punto di non ritorno, per ordinare la ragione e motivare i pensieri. Putin è il nitido aggressore in questa guerra, ma vanno evitate risposte che siano solo demagogia e serve assumere il principio di realtà.