È la notte tra il 31 agosto e il primo settembre, Andrea Leombruni sente abbaiare i suoi cani. L’uomo, che vive in campagna poco fuori San Benedetto dei Marsi, esce di casa imbracciando il fucile - per il quale ha regolare porto d’armi - ed esplode un colpo verso un orso marsicano, che nel frattempo si è alzato sulle zampe posteriori. L’animale scappa e lui rimane lì, immobile, poi chiama i Carabinieri per denunciare l’accaduto. Il giorno dopo è sui giornali locali, poi sui social e quindi sulle testate nazionali: Andrea Leombruni è il mostro della settimana, venuto a bussare alle nostre frementi coscienze come il corriere coi pacchetti di Amazon. I primi articoli però sono fuorvianti, per qualcuno Leombruni ha sparato tre colpi di fucile nella schiena dell’animale il quale nel frattempo è stato identificato come l’Orsa Amarena. Si legge, in maniera più o meno velata, di un sadico cacciatore che non ha avuto pietà di una povera orsa e dei suoi piccoli. Il che, complici un tasso di attenzione di circa 15 secondi e la stabilità emotiva di una palla da rugby, innesca un’impietosa caccia all’uomo. Il bastardo adesso deve soffrire. L’hai fatta alla povera Amarena, piccolo uomo meschino, ma noi abbiamo i social e te la faremo pagare. Pagherai anche per tutti gli orsi che non hanno ancora imparato a scrivere un commento su Facebook. Tra i subumani dei social, qualcuno gli augura la morte. Non solo, c’è anche chi telefona alla madre, augurando la morte anche a lei. “Sono tre giorni che non dormo e non mangio”, ha raccontato Leombruni all’Ansa. “Non vivo più, ricevo in continuazione telefonate di morte, messaggi; hanno perfino chiamato mia madre 85 enne, tutta la mia famiglia è sotto una gogna”. I problemi qui sono almeno due. Il primo, per il quale non occorre neanche entrare nel merito: la gente scrive senza sapere, senza pensare, senza riflettere. Non conosce la dinamica dell’accaduto, non ha mai visto un orso, mai vissuto nelle campagne abruzzesi. Probabilmente non sa neanche in quale provincia si trovi San Benedetto dei Marsi. Evidentemente però, sa che quest’uomo è colpevole e che ora andrà fatto soffrire, niente di meno. Incredibilmente però, augurare la morte a uno sconosciuto via etere non viene considerato un gesto sgradevole. Non viene considerata cattiva educazione o qualcosa di cui vergognarsi, è invece perfettamente normale. Lo puoi fare con gli sportivi e i personaggi pubblici, ma anche con un privato cittadino. È legale? Certo che no. Siamo passati da tesoro, non indicare col dito a un messaggio di morte scritto in maiuscolo sotto la foto di famiglia di un perfetto sconosciuto.
Si può tornare indietro? Difficile, ma se un modo c’è quello è sveltire le pratiche di denuncia per istigazione all’odio, diffamazione e ingiuria, perché se non basta il buon senso deve subentrare la legge. Esattamente come esiste, nel codice penale, l’Art. 533 bis, “uccisione di animali”, reato che prevede un periodo di reclusione dai quattro mesi ai due anni, norma verso cui Leombruni e il suo legale devono rendere conto. L’ottimo Ottavio Cappellani, di cui non si può che avere stima, scrive su MOW che quest’uomo ha sparato per nichilismo, non per paura: può darsi, ma non sta a noi stabilirlo. Semmai possiamo stabilire che chi lo ha torturato con commenti, insulti e minacce è senz’altro un nichilista. Anzi, peggio: è uno stupido. C’è poi un tema più pratico, quello che viene trattato da chi non si scaglia a scrivere commenti con la bava alla bocca e che, comunque, condanna fermamente il distruttore di mondi da San Benedetto dei Marsi: l’orso marsicano è una specie protetta e in città la conoscevano tutti, si chiamava Amarena, aveva dei cuccioli. Ma come è possibile che in questo costante ritorno alla natura, praticato per lo più a Milano City Life, lo scollamento dalla realtà sia arrivato al punto da non permetterci di capire cosa sia un orso? Troppi TikTok, troppi video carini con i panda che ruzzolano nelle loro belle gabbie a temperatura controllata, troppe storie strappalacrime. Troppi video visti dal telefonino, dove un orso è grande quanto il pollice sudato da schiacciarci sopra ed è così leggero che lo puoi mandare agli amici per farlo vedere anche a loro. Un orso lo abbiamo chiamato Amarena perché è carino, petaloso. Non andrebbe confuso, però, con un orso vero, carnivoro, predatore anche, chissà. Tra le versioni di greco che si traducono al ginnasio ce n’è una, piuttosto famosa, che racconta di una rana e uno scorpione, è una favola di Esopo che in questo caso possiamo tradurre così: la natura dell’orso, che si chiami Amarena, Stracciatella o Fiordilatte, è quella di un orso. E quella dell’uomo è la natura dell’uomo, cacciatore da prima che esistesse la parola. Lo scorso aprile un orso in Trentino ha ucciso un ragazzo che stava correndo nel bosco, lontano dai sentieri: è quello che può succedere a un essere umano quando entra nel territorio di un animale con istinti predatori. Il primo settembre, invece, un orso è stato ucciso da un uomo per essersi appostato sotto casa sua: è quello che può succedere quando un animale potenzialmente pericoloso entra nella proprietà di un essere umano. Ed è sempre brutto, una tragedia anche, ma non confondiamo le cose: la natura è questa, non il contrario. Ma la nostra realtà è sempre più confinata in uno schermo, a cui noi spettatori assenti deleghiamo la ricerca del vero e le nostre emozioni, oltre naturalmente al nostro insindacabile quanto duro giudizio. E poi? l’ho visto ma non c’ero. Eppure la natura se non c’eri l’hai solo guardata, non l’hai vista, altrimenti con tutte le belle foto che ci sono in giro nessuno si fermerebbe più a guardare un tramonto.