Questa favola dark dal cast perfetto e dalla fotografia più assurda che abbiate mai visto, è il frutto dell'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo del 1992 scritto da Alasdair Gray, ed è già, dopo il primo giorno di Festival di Venezia, il film più atteso e chiacchierato di tutti. Perché è un prodotto che non ha peli sulla lingua proprio come Bella che dice e fa tutto quello che le pare. Il motivo? Perché possiede il cervello di un bambino, quello del suo stesso feto, intrappolato nel suo corpo di giovane adulta. A causa di questa “discrasia” e scollegamento tra fisico e mente, l’inventore e padre adottivo di questa povera creatura che è venuta al mondo sotto i ferri, Godwin Baxter, decide di nasconderla sotto una campana di vetro per proteggerla dalle cattiverie del mondo intero. Lo scienziato che Bella chiama semplicemente “God, Dio” all’inizio del film è un uomo conscio del proprio potere, un Dio despota che vorrebbe tenere la sua creatura ritardata e bella soltanto tra le proprie braccia sottraendola così alla vita vera, alle derisioni, alle sofferenze, e lo fa per paura che lei attraverso la conoscenza del mondo possa poi inevitabilmente finire per preferirlo a lui, a Dio, al suo Creatore. Fuori da casa sua la ragazza (al suo fianco c’è un magistrale Mark Ruffalo) scoprirà la musica, l’arte, il ballo e pure il sesso occasionale (dopo aver scoperto la masturbazione femminile infilandosi cetrioli e pesche dentro la sua vagina) ma soprattutto comprenderà la difficoltà delle povere creature (lei compresa) di stare al mondo.
Il film è l’odissea di Bella Baxter che, dopo aver visto mezza Europa, decide di rientrare a Londra come autarchica, come donna liberata. Tutto il film è un viaggio ma anche una lenta trasformazione: di Bella, dei suoi ideali, delle sue incertezze, del suo rapporto con Godwin e con gli uomini, del suo sesso, dei suoi limiti. La donna cerca nell’avventura del suo nuovo io tutto quello che non aveva: la felicità. Perché esiste un modo giusto per vivere e agire finché non se ne trova un altro, e Bella, che era una donna che non si era mai saputa, cambia, conquista nuovi livelli di conoscenza proprio come evolvono gli scenari, i luoghi e le circostanze attorno a sé. Ma chi era prima dell’esperimento? Una donna incinta e depressa, sposata con un uomo ossessionato dall’idea di averla e non di amarla: “Tu sei mia e io devo rinchiuderti, devo trattenerti”. Più in generale, i maschi di Poor Things sono personaggi che vogliono esercitare la propria egemonica virilità su di Bella, nascondendola e incarcerandola in un luogo con la scusante di volerla mettere “al sicuro”. Ma da chi? Dagli sguardi perversi degli altri rivali per la strada, dalla cultura, dalle altre donne, dall’evoluzione di sé nel mondo. La povera creatura che nei primi trenta minuti di film viene mostrata come una figura inabile alla vita, apparentemente soggiogata ad un destino infimo e a respirare la sua aria mefitica fino al resto dei suoi giorni, diviene ben presto al centro di una rivoluzione personale. Grazie a Dio, le cose stanno per cambiare. C’è chi ha definito Poor Things la versione dark della Barbie secondo Lanthimos e non ha tutti i torti. Va aggiunto però che in questo film viene compiuto un passo in avanti rispetto al lavoro della Gerwig, che in Barbie ha preferito ad un certo punto fermarsi e non scarnificare il concetto di patriarcato o di femminismo che invece Lanthimos porta avanti con il suo lento filosofeggiare.